ACCERTAMENTO STUDI DI SETTORE- CONTRADDITTORIO OBBLIGATORIO PENA ANNULLAMENTO ACCERTAMENTO

Nell'accertamento da Studi di settore è obbligatorio il contraddittorio con il contribuente in quanto la procedura di accertamento è un sistema di presunzioni semplici la cui gravità, precisione e concordanza va verificata in esito al contraddittorio, pertanto obbligatorio ai fine della validità dell'accertamento medesimo.
Avv. Alfio Mario Gambino
Alfiogambino@gmail.com

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI CAMPOBASSO
SECONDA SEZIONE
riunita con l'intervento dei Signori:
DI LORENZO CARMELA - Presidente e Relatore
DISCENZA GIUSEPPE - Giudice
MONTEFERRANTE LUCA - Giudice
ha emesso la seguente
SENTENZA
- sull'appello n. 402/2012
depositato il 09/10/2012
- avverso la sentenza n. 128/2012 Sez:3 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di CAMPOBASSO
contro:
AG. ENTRATE DIR. PROVIN. UFF. CONTROLLI-LEGALE CAMPOBASSO
proposto dall'appellante:
R.M.
VIA S. N.194 86100 C.
difeso da:
BARLETTA GIUSEPPE
VIA CALEMME N.11/A 86016 RICCIA CB
Atti impugnati:
AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (...) IRPEF-ADD.REG. 2006
AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (...) IRPEF-ALTRO 2006
AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (...) IVA-ALTRO 2006
AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (...) IRAP 2006

FATTO
R.M. titolare della ditta "A.F. R. di M.R." con sede in C., rappresentato e difeso dal dr. Barletta Giuseppe presso il cui studio eleggeva domicilio, proponeva ricorso avverso avviso di accertamento delle imposte IRAP-IVA-IRPEF oltre addizionali e contributi previdenziali afferenti l'anno 2006 notificato il 21/11/2011 dall'Agenzia delle Entrate-Ufficio di Campobasso.
Quest'ultima rettificava la dichiarazione presentata per l'anno in contestazione elevando il reddito sulle risultanze degli studi di settore con determinazione di una debenza complessiva, interessi e sanzioni comprese, di Euro 53.160,00
In premessa il Difensore premetteva che l'attività di ristorazione era esercitata dal proprio assistito con l'ausilio dei propri familiari e di pochi dipendenti i cui introiti non erano sovrapponibili a quelli applicati dall'Ufficio in applicazione degli studi parametrici estranei a qualsiasi riferimento territoriale e contestuale.
Aggiungeva che l'avviso, seppure emesso a seguito di contraddittorio, come legge prescrive, non teneva in alcun conto delle inesattezze ed imprecisioni riportate in tale sede.
Indicava anche in sede processuale i motivi di doglianza riferibili a:
- reddito non plausibile considerato che l'Ufficio affermava in maniera semplicistica che il reddito così come dichiarato oltre ad essere insufficiente al mantenimento della famiglia non era compatibile al mantenimento dei beni indicati alla pag. 8 dell'avviso precisando, a tal proposito, che di contro il proprio assistito non possedeva alcun immobile né aveva versato premi su polizze vita.
- metodologia del conteggio dei maggiori ricavi svolta senza supporto di alcuna indagine tecnico-economica ma fondata, esclusivamente, su applicazione parametrica degli studi; la discordanza sul dichiarato ed accertato come indicato dall'Ufficio non può costituire precisione grave, precisa e concordante atta alla ricostruzione induttiva del reddito in aderenza anche a principi di legittimità.
Per quanto evidenziato, il Difensore, concludeva con richiesta di annullamento dell'atto opposto previa sua sospensione cautelare.
In data 11 maggio 2012 lo stesso depositava documentazione atta a confermare la bontà di tutte le esposte doglianze.
L'Ufficio, ai sensi dell'art. 2 del D.Lgs. n. 546 del 1992 si costituiva in giudizio, mediante deposito di note nelle quali, ribadita la correttezza del proprio operato, chiedeva, di contro, la sua conferma unitamente al ristoro delle spese.
Rilevava che la procedura di accertamento standardizzato posta in essere mediante l'applicazione degli studi di settore, contiene quelle presunzioni la cui gravità, precisione e concordanza che consentono il ricorso a tale procedura di cui il contribuente, nel contraddittorio endoprocedimentale, ha l'onere di fornire prova contraria sulla redditualità inferiore ai risultati dello standard di cui al cluster di riferimento.
Precisava, l'Ufficio, che aveva tenuto conto delle eccezioni formulate in sede di contraddittorio, ma che l'accertamento doveva, comunque, seguire il suo corso vertendosi in ipotesi di antieconomicità dell'azienda protratta per più periodi d'imposta e di ulteriori anomalie gestionali come indicate nell'avviso e risultati incoerenti con gli indicatori economici indicati dallo studio di settore.
Aggiungeva a tanto che le spese per il mantenimento dei beni posseduti erano superiori ai redditi dichiarati, il che è indice di capacità contributiva superiore a quella espressa nei dati dichiarati.
Per le esposte ragioni concludeva con richiesta rigetto del ricorso con condanna alle spese di giudizio previo rigetto dell'istanza di sospensione dell'esecuzione dell'atto non ricorrendone i requisiti del fumus boni viri e del periculum in mora.
Il giudizio di primo grado, con sentenza n. 128/03/12 pronunciata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso, si concludeva con rigetto del ricorso e condanna del ricorrente alla rifusione delle spese liquidate in Euro 604,00 oltre accessori.
Avverso la stessa, il medesimo Difensore del ricorrente proponeva appello chiedendone sua riforma in accoglimento del gravame unitamente a vittoria delle spese di giudizio di entrambi i gradi processuali.
Lo stesso chiedeva dichiararsi nullità della sentenza opposta per insufficiente ed apparente motivazione in violazione delle richiamate disposizioni normative oltre ad erronea valutazione dei fatti.
Rilevava l'erroneità del deciso che, pur riportando fedelmente alcuni periodi della motivazione espresse dalla Corte di Cassazione n. 26635 del 18/12/2009, giungeva a conclusione diametralmente opposta, considerato che la stessa accoglie proprio le ragioni del contribuente.
Invero, la Corte afferma che l'accertamento fondato sugli studi di settore non è da solo sufficiente a presumere maggiore capacità contributiva dovendo la stessa essere supportata da ulteriori ragioni che l'Ufficio è tenuto a indicare solo a seguito di contestazioni sollevate dal contribuente in sede endoprocedimentale.
Sosteneva il Difensore che l'accertamento, come nella fattispecie, che non contenga i motivi documentati non accoglienti le ragioni, di fatto è affetto da nullità per carenza motivazionale.
Esponeva altresì le contraddizioni rilevabili nell'atto opposto ove si afferma la mancata disponibilità del ricorrente a trovare una soluzione quanto ai ricavi più credibili che viene superata dalla memoria difensiva all'uopo prodotta contenenti le ragioni per l'annullamento dell'anno per carenza dei presupposti.
Si costituiva in giudizio l'Ufficio che deduceva la fondatezza della sentenza della quale chiedeva conferma in rigetto dell'appello con condanna alle spese processuali.
Lo stesso contestava tutti motivi d'appello con argomentazioni in atti contenute ribadendo anche in questa sede che nessuna prova forniva il contribuente per dimostrare la divergenza dei ricavi tra quelli dichiarati e quelli ricostruiti in applicazione degli studi di settore.
L'odierna udienza di discussione, viene celebrata, dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale, pubblicamente, per produzione della richiesta di cui al comma 1 dell'art. 33 del D.Lgs. n. 546 del 1992.
La causa viene assegnata a sentenza.

DIRITTO
La Commissione adita, esaminati gli atti ed in valutazione degli elementi probatori offerti dall'appellante, ritiene respingere l'appello e, di conseguenza, riforma la sentenza opposta.
La questione oggetto del contendere concerne ricostruzione parametrica effettuata in applicazione degli studi di settore da cui consegue una redditualità superiore a quella dichiarata.
I ricavi dichiarati dal contribuente pari ad Euro 594.713,00 venivano così elevati ad Euro 648.962,00 da cui scaturiva un debito complessivo per oltre 53.000,00 Euro, ritenendo l'Ufficio che il reddito non fosse congruo in rapporto ai parametri di cui allo studio preso in considerazione per l'attività di ristorazione.
La ricostruzione così come effettuata e cioè sul solo dato relativo allo scostamento del reddito dichiarato rispetto a quello risultante dall'applicazione dei parametri di cui allo studio di settore non trova condivisione da parte di questo Collegio atteso che l'accertamento così operato non costituisce prova, senza alcun altro elemento di supporto, ma semplice indizio che da solo non configura ipotesi di gravità, precisione e concordanza così come richiesto dalla normativa per operare ricostruzione induttiva.
Invero, nell'atto opposto non è ravvisabile l'esistenza di precisi elementi da aggiungersi agli studi di settore che avrebbero giustificato l'emissione dell'avviso in questione.
La giurisprudenza di legittimità si è più volte pronunciata in ordine alla utilizzabilità degli studi stessi come metodologia astrattamente idonea a determinare regole di esperienza applicabili in maniera standardizzata.
Nella fase immediatamente successiva all'introduzione dello strumento parametrico in oggetto vi sono state decisioni della Corte di Cassazione orientate nel senso di attribuire alle risultanze dell'applicazione degli studi di settore la natura di presunzioni legali relative.
In seguito (vedi sent. n. 17229 del 28/07/2006) la stessa Corte ha sostenuto che gli studi hanno natura di "atti amministrativi generali di organizzazione che da soli non si possono considerare sufficienti perché l'Ufficio tributario operi l'accertamento senza che l'attività amministrativa sia completata nel rispetto del principio generale del giusto procedimento, cioè consentendo al contribuente d'intervenire già in sede procedimentale amministrativa e di vincere la presunzione costituita dagli studi di settore".
Sul punto sono intervenute le Sezioni Unite della Corte (sent. nn. 26635, 26636, 26637 e 26638 del 18 dicembre 2009) statuendo che "la procedura di accertamento standardizzato mediante l'applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici la cui gravità, precisione e concordanza non è "ex lege" determinata in relazione ai soli "standards" in sé considerati, ma nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell'accertamento, con il contribuente".
Sempre la Suprema Corte esprimendosi in tema di rispondenza della disciplina degli studi di settore ai parametri costituzionali, in particolare, al principio di capacità contributiva, ha affermato: "la flessibilità degli strumenti presuntivi trova origine e fondamento proprio nell'art. 53 della Costituzione, non potendosi ammettere che il reddito venga determinato in maniera automatica, a prescindere da quella che è la capacità contributiva del soggetto sottoposto a verifica. Ogni sforzo, quindi, va compiuto per individuare la reale capacità contributiva del soggetto, pur tenendo presente l'importantissimo ausilio che può derivare dagli strumenti presuntivi, che non possono però avere effetti automatici, che sarebbero contrastanti con il dettato costituzionale, ma che richiedono un confronto con la situazione concreta".
La Corte ha stabilito, dunque, una nuova metodologia di riparto dell'onere probatorio tra Amministrazione finanziaria e contribuente, in considerazione del fatto che gli studi di settore, in quanto annoverabili tra gli strumenti statistico-probabilistici, non sono idonei a riprodurre la concreta situazione reddituale del contribuente, avendo la sola capacità di identificarsi con un mero strumento capace di rilevare un presunto comportamento fiscale anomalo.
La centralità e la rilevanza del contraddittorio, cui dà rilievo la Corte rappresenta il superamento di posizioni diverse della giurisprudenza di legittimità pregressa nel momento in cui, a tale strumento, viene attribuita non solo la capacità di adeguare l'accertamento alla realtà del singolo contribuente, ma anche la rilevante funzione di garantire gli interessi di quest'ultimo.
Il tenore delle pronunce, si conforma, altresì, agli orientamenti costituzionali ed internazionali maggiormente evoluti, i quali riconducono al contraddittorio la concretizzazione dell'interesse del privato.
Ed è proprio sulla scorta delle sentenze del 2009 pronunciate dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che lo stesso Ministero delle Finanze emetteva la circolare n. 19/E del 14 ottobre 2010 nella quale delineava lo studio di settore non già strumento reddituale ma mezzo di accertamento con propedeutico obbligatorio contraddittorio in valutazione della concreta capacità contributiva in ossequio all'art. 53 della Costituzione.
Tutto quanto premesso induce questa Commissione a dichiarare l'illegittimità dell'avviso di accertamento in questione atteso che l'Ufficio non adeguava il risultato degli studi di settore alla concreta e particolare situazione dell'impresa omettendo, in tal modo, di valutare la reale capacità contributiva della stessa.
Nella fattispecie accertativa parametrica è compito dell'Ufficio dimostrare che lo standard applicato è confacente al soggetto sottoposto a verifica.
La redditualità andava verificata, tra l'altro, non con il solo discostamento tra il ricavo dichiarato e quello emergente dall'applicazione dei parametri di cui allo studio di settore ma con vera e propria indagine allo scopo di verificare l'effettiva attività svolta ed anche anomalie di gestione.
Nell'atto opposto non risulta evidenziato, come sarebbe stato necessario, se siano state eseguite le opportune valutazioni in ordine sia alla congruità dei ricavi che della coerenza degli indicatori economici utilizzati, per cui manca la prova, ad esempio, di una mancanza di coerenza dovuta a comportamenti irregolari del contribuente, oppure dovute ad insufficienze di gestione o a riscontrati componenti di costo non contabilizzati.
Invero, la incongruità dei ricavi e l'incoerenza degli indicatori economici sono nell'atto solo enunciati e non provati. Il ricorso ad una ricostruzione parametrica non esime l'Ufficio a fornire ulteriori elementi di prova giustificanti la ripresa reddituale proprio perché la ricostruzione parametrica, in linea con prevalente giurisprudenza di legittimità, è presunzione semplice, che non obbliga il contribuente a fornire prova contraria.
Ed allora, deve rilevarsi che il tutto va esaminato nella considerazione che il mero scostamento fra dichiarato ed atteso non completa l'iter motivazionale a carico dell'Amministrazione salvo il caso di mancata partecipazione al contraddittorio; sulla presenza di elementi oggettivi che inducano a ritenere inadeguato il percorso tecnico metodologico seguito dallo studio per giungere alla stima del ricavo richiesto sulla base degli studi di settore (analisi della nota metodologica e delle variabili rilevanti prese in considerazione per l'elaborazione dello studio); sulla correttezza dell'imputazione al cluster di riferimento; sulla presenza di cause di giustificazione contingenti relative all'annualità oggetto di analisi.
Sempre la Corte di Cassazione - Sez. Tributaria - con sent. n. 24327 del 14 novembre 2014 ha sancito il principio che "senza il riferimento alla reale situazione dell'azienda, del settore e del contesto di operatività, i parametri costituiscono semplici indizi che non sorreggono in giudizio l'accertamento di maggior reddito" ribadendo quanto già sancito con ordinanza del 17 febbraio 2011 n. 3923 secondo la quale gli "studi di settore rappresentano dati fondati sulla base di elaborazioni statistiche generali e, pertanto, in presenza di specifiche contestazioni e allegazioni da parte del contribuente, non possono costituire, da soli, il "fatto noto" da cui argomentare, con sufficiente grado di probabilità, la reale capacità contributiva".
Quindi, sulla scorta dei principi della giurisprudenza di legittimità (Cass.- Sez. trib.- 15 giugno 2010 n. 14313; 6 luglio 2010 n. 15905; 5 agosto 2010 n. 18227; 31 agosto 2010 n. 18941) deve concludersi che lo studio deve essere calibrato in ragione della singola realtà oggetto di verifica, in quanto lo strumento in questione risulta inidoneo a supportare l'accertamento, se non confortato da elementi concreti desunti dalla realtà economica dell'impresa che devono essere provati e non semplicemente enunciati nella motivazione dell'accertamento.
Nel caso di specie, l'Ufficio basava l'accertamento sulla incongruità dei ricavi calcolati per l'anno accertato rispetto allo studio parametrico, sulla antieconomicità aziendale e su incongruenza in relazione a significativi elementi di spesa. Lo stesso non offriva prove certe e concrete di maggiore redditività, nè forniva spiegazioni in merito alle ragioni offerte dal contribuente in fase endoprocedimentale giustificanti la causa della minore redditività.
Il diniego era giustificato nella formulazione, confermata pure in giudizio, che lo studio applicato rappresentava adeguatamente le situazioni di "normalità economica" e che il recupero era rispondente alla realtà aziendale.
Tutto quanto premesso induce questa Commissione a dichiarare l'illegittimità dell'avviso di accertamento perchè l'Ufficio non adeguava il risultato degli studi di settore alla concreta e particolare situazione dell'impresa omettendo in tal modo di valutare la reale capacità contributiva della stessa.
Manca nell'accertamento (frutto di puro e semplice calcolo matematico) qualsiasi riferimento alla situazione fattuale. L'Amministrazione ha, in pratica operato come se si trovasse di fronte ad una presunzione legale relativa in suo favore.
D'altra parte, l'art. 62-sexies del D.L. n. 331 del 1993 fa specifico riferimento alla necessità dell'esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dagli studi di settore: la sussistenza di tali elementi è, dunque, presupposto imprescindibile per la legittimazione di tale particolare modalità di ricostruzione dei ricavi da parte dell'Ufficio che non può essere considerato dispensato dall'onere della prova, né la stessa può essere fatta ricadere in capo al contribuente in assenza di una espressa normativa in tal senso.
Pertanto, ai fini dell'accertamento, sono necessari due distinti passaggi: verifica della fondatezza dei ricavi emergenti dagli studi di settore (vale a dire che le risultanze di GE.RI.CO. siano correttamente applicabili al contribuente interessato) e successiva dimostrazione della gravità dell'incongruenza riscontrata.
In realtà, quindi, deve essere l'Amministrazione finanziaria a provare entrambe le condizioni e a non ribaltare l'onere probatorio, come dalla stessa sostenuto, in capo al contribuente.
In relazione alla antieconomicità della ditta pure indicata nell'accertamento deve rilevarsi che la stessa non essendo suffragata da elementi gravi, precisi e concordanti non è atta a confortare il supposto squilibrio tra le spese sostenute e i redditi dichiarati in riscontro ad ulteriori indici di evasione.
Di contro, il titolare della ditta ha offerto ampia documentazione atta a dimostrare che le polizze assicurative sulla vita in precedenza sottoscritte dallo stesso che l'Ufficio indicava tra gli indici di capacità contributiva, in realtà erano state riscattate e liquidate dalle Compagnie assicurative in suo favore in anni precedenti a quello accertato dal che consegue che lo stesso non ne versava più alcun premio.
Ed ancora è allegata copia di raccomandata del legale incaricato al recupero di somme dovute alla banca per inadempienza contrattuale del mutuo contratto il 17 gennaio 2006 per acquisto di beni immobili.
Quindi, i supposti indici di spesa sono ampiamente superati da prove offerte dal contribuente.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.
La Commissione accoglie l'appello della ditta. Condanna l'Ufficio al pagamento delle spese che liquida in Euro 500,00, oltre accessori se dovuti.
Così deciso in Campobasso il 27 marzo 2017.

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