Adozione
di misure cautelari: necessaria la motivazione e la sussistenza del periculum
in mora
Come noto, l’art. 22 del D.Lgs. n. 472/97, al comma 1,
espressamente prevede: <<In base
all’atto di contestazione, al provvedimento di irrogazione della sanzione o al
procedimento verbale di constatazione, e dopo la loro notifica, l’ufficio o
l’ente, quando ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito,
può chiedere, con istanza motivata, al presidente della commissione tributaria
provinciale l’iscrizione di ipoteca sui beni del trasgressore e dei soggetti
obbligati in solido, e l’autorizzazione a procedere, a mezzo di ufficiale
giudiziario, al sequestro conservativo dei loro beni, compresa l’azienda. A tal
fine l’Agenzia delle entrate si avvale anche del potere di cui agli articoli
32, primo comma, numero 7), del decreto del Presidente della Repubblica 29
settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, e 51, secondo comma, numero
7), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e
successive modificazioni>>.
Orbene, da una semplice lettura della norma è agevole
evincersi come, affinché l’Agenzia possa richiedere l’adozione delle misure
cautelari, è necessario:
1) innanzitutto, che vi sia il fondato timore di perdere
la garanzia del proprio credito (”periculum
in mora”);
2) inoltre, che l’istanza con la quale l’Agenzia avanza
la richiesta di adozione delle misure cautelari sia adeguatamente motivata.
Ai giudici tributari, quindi, spetta il compito di
analizzare la sussistenza di tali presupposti e, qualora venga constata la
mancanza anche di uno solo di essi, l’istanza dovrà essere rigettata, non
essendo peraltro necessario analizzare la fondatezza delle contestazioni,
ovvero la sussistenza del fumus boni
iuris.
Quanto rilevato è stato oggetto di un’importante e
recentissima sentenza della CTP di Lecce, la n. 1698/1/14 pronunciata il 14
marzo 2014 e depositata il 16 maggio 2014, con la quale i giudici tributari
hanno rigettato la richiesta di adozione di misure cautelari avanzata dall’Agenzia
delle Entrate nei confronti di un contribuente proprio perché, nel caso di
specie, non sussisteva un “fondato timore” di perdere la garanzia del credito.
In particolare, è stato posto in evidenza come
dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che il pericolo di perdere
la garanzia deve essere attuale e deve essere fondato su elementi
obiettivamente sintomatici di un pericolo reale e non basato semplicemente su
generici apprezzamenti psicologici e personali.
Come ha avuto modo di affermare anche la Suprema Corte
(Cass. , Sez. III, n. 6460 del 17 luglio 1996; Cass., Sez. II, n. 2139 del 26
febbraio 1998), il periculum in mora deve essere valutato con riferimento:
-
sia a dati
oggettivi (quali, ad esempio, l’entità della pretesa erariale);
-
sia a dati
soggettivi (ovvero con riferimento ai comportamenti del debitore, da cui possa
evincersi la volontà di sottrarsi all’esecuzione, depauperando in tal modo il
patrimonio).
Da tanto ne discende che è onere dell’Ufficio
dimostrare che il contribuente, effettivamente, abbia posto o stia per porre in
essere atti di disposizione, oppure ha assunto comportamenti che mettano in
pericolo il credito vantato dal Fisco.
L’Agenzia delle Entrate, pertanto, nella formulazione
dell’istanza non può limitarsi ad affermare che la pretesa impositiva avanzata
è di ingente rilevanza, oppure che le imposte sono state accertate mediante
indagini finanziarie e mediante il processo verbale di constatazione, o ancora
che è stata inviata alla Procura delle Repubblica apposita notizia criminis per
l’ipotesi di reato (nel caso di specie, del reato ex art. 4 del D.Lgs. 10 marzo
2000, n. 74).
Tali circostanze, infatti, non giustificano la
richiesta di adozione di misure cautelari in quanto in nessuna di esse si può
ravvisare la sussistenza del periculum in mora.
Ed invero, come hanno avuto modo di sottolineare i
giudici tributari, il requisito della somma ingente non è previsto da alcuna
norma; le indagini ed il p.v.c. sono solo il presupposto processuale ma non
possono motivare il pericolo; il contribuente deve aver ricevuto la notizia di
reato.
Peraltro, nella fattispecie in esame, il contribuente
ha altresì dimostrato di non aver compiuto alcun atto di sottrazione dei beni
(immobili e mobili) per i quali era stata richiesta l’iscrizione di ipoteca ed
il sequestro conservativo.
Alla luce di tanto, appare chiaro che l’accoglimento
della richiesta di misure cautelari è subordinato sia alla presenza di una
adeguata motivazione dell’istanza sia alla sussistenza di un “fondato timore” di
perdere la garanzia del credito, ovvero il c.d. “periculum in mora”, che deve
essere necessariamente dimostrato e comprovato dall’Ufficio e non lasciato a
mere clausole di stile.
Lecce, 21
maggio 2014 Avv.
Maurizio Villani
Avv.
Alessandra Rizzelli
AVV. MAURIZIO VILLANI
Avvocato Tributarista in Lecce
Patrocinante in Cassazione
Commenti
Posta un commento