FRODE FISCALE E BUONA FEDE
Nel settore fiscale e penale - tributario, uno dei problemi principali è stabilire quando c’è la responsabilità penale e tributaria del cessionario nelle ipotesi di frode fiscale commessa dal cedente.
Questo problema, logicamente, ha riflessi anche nel campo tributario,
in quanto, in caso di compartecipazione del cessionario, quest’ultimo ne
risponde anche ai fini fiscali.

Tanto premesso, la responsabilità del soggetto cessionario per
l’obbligazione tributaria derivante dal fatto illecito del cedente, o del terzo
comunque inseritosi nella catena delle cessioni del bene, rimane esclusa
secondo le pronunce della Corte di Lussemburgo dalla condizione essenziale che
detto contribuente “non aveva o non
doveva avere conoscenza” della frode (cfr Corte di Giustizia CE sez. III,
sent. 12/01/2006 in cause
riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03,
Optigen Ltd, Fulcrum Elect. E Bond House): tuttavia la stessa Corte di
Giustizia ha precisato che la buona fede del cessionario può essere
riconosciuta soltanto agli “operatori che adottano le misure che si possono
loro ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che le loro operazioni
non facciano parte di una frode”, in quanto solo all’esito di tale adempimenti
può ravvisarsi un incolpevole affidamento sulla liceità di tali operazioni.
Diversamente un soggetto che “sapeva o avrebbe dovuto sapere che con il proprio
acquisto partecipava ad una operazione che si iscriveva in frode all’IVA non
può allegare la propria buona fede a garanzia dei diritti di detrazione o
rimborso vantati in relazione alle operazioni compiute (cfr Corte giustizia CE,
sent. 6/7/2006, in cause riunite C-439/04 e C-440/04, Kittel e Recolta).
L’applicazione del principio di buona fede a tutela del contribuente
ingannato dall’illecito commesso dalla parte con la quale ha realizzato l’operazione
risultata imponibile, è stata affrontata dal Giudice comunitario con specifico
riferimento alle operazioni di cessione intracomunitarie per le quali la
eliminazione delle barriere doganali tra gli Stati membri ha determinato la
insorgenza della necessità di individuare procedure idonee a consentire agli
operatori di verificare “ex ante” la regolarità fiscale delle operazioni che
vanno a compiere, nonché la esigenza di definire i limiti di riparto, tra
contribuente e Fisco, del rischio tributario determinato dalla condotta
illecita del terzo (cfr Corte giustizia 27/92007 causa C-409/04, Teleos, punto
58; Corte giustizia 21/02/2008, causa C-271/06, Netto Supermarket GmbH, punto
28).
Il punto di equilibrio è stato individuato dalla Corte di giustizia nelle
seguenti duplici condizioni.
1- Della “buona fede” (che deve desumersi non
soltanto dalla oggettiva estraneità del soggetto alla frode fiscale ma anche
dalla ignoranza incolpevole delle intenzioni frodatorie attuate dall’acquirente
o da terzi) che rimane, invece, esclusa laddove, dalle circostanze concrete,
emergano indizi tali per cui il cedente, secondo una efficace sintesi verbale,
“sapeva o avrebbe dovuto sapere” che l’operazione intracomunitaria veniva ad
iscriversi in una frode fiscale (cfr Corte giustizia 11/05/2006, causa
C-384/04, Federation of Technological Industries, punto 31-32), secondo cui la
dimostrazione che il soggetto “era a conoscenza del fatto, o aveva ragionevoli
motivi per sospettare che tutta o parte dell’imposta dovuta per tale cessione,
ovvero per qualsiasi altra cessione precedente o successiva dei medesimi beni,
non sarebbe stata versata” può essere data anche mediante prove presuntive
semplici –juris tantum -, riversandosi in tal caso sul contribuente l’onere
della prova contraria (Corte giustizia 21/6/2012, cause riunite C-80/11 e
C-142/11, Mahageben kft e Peter David, punto 50 e Corte giustizia 6/9/2012,
causa C-324/11, Gabor Toth, PUNTO 50-51, che precisano come la prova presuntiva
debba essere fondata su “elementi oggettivi” e cioè indizi concludenti in
ordine alla esistenza di una situazione che in quanto caratterizzata da
irregolarità, anomalie, incompletezza informativa, imponeva al soggetto passivo
di esperire ulteriori verifiche in ordine alla regolarità fiscale delle
operazioni).
2- Della “preventiva”
adozione da parte del contribuente di tutte le misure ragionevolmente esigibili
al fine di assicurarsi che l’operazione che deve essere effettuata non lo
conduca a partecipare ad un’evasione
tributaria (cfr Corte giustizia 6/7/206, causa C-439/04 e C-44004, Kittel punto
51; Corte giustizia 21/6/2012 cause riunite C-80/11 e C-142/11, Mahageben kft e
Peter David, punto 54): tale secondo elemento è all’evidenza strumentale alla
dimostrazione della incolpevole ignoranza del fatto illecito altrui e non
coincide con il mero esatto adempimento degli obblighi formali di legge
richiesti dallo Stato membro per la regolare esecuzione della operazione (come
la emissione e ricezione di una fattura dotata dei prescritti requisiti formali
e le annotazioni nei registri contabili) che costituisce, invece, soltanto il
presupposto necessario (in quanto in difetto della regolarità formale della
operazione la condotta del terzo non riveste carattere decettivo) per procedere
all’accertamento della condotta diligente prestata nel caso concreto (cfr Corte
giustizia 27/9/2007, causa C-409/07, Teleos, punti 65-66; Corte giustizia
16/12/2010, causa C-430/09 Euro Tyre Holding BV, punto 38; Corte giustizia
6/9/2012, causa C-273/11, Mecsek Gabona Kft, punti 48-50).
I suddetti, corretti principi,
sono stati ultimamente ripresi dalla Corte di Cassazione – Sezione Tribtuaria –
con la sentenza n. 20302 del 04/07/2013, depositata in cancelleria il
04/09/2013.
Deve essere premesso che l’ipotesi di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti è
concettualmente diversa da quelle delle cd.
frodi carosello e tale diversità si riflette sull’oggetto e sull’onere
della prova. Le due ipotesi si verificano spesso congiuntamente nella pratica
ma, ai fini della trattazione giuridica delle stesse, appare opportuno tenerne
presente la distinzione.
La fatturazione per operazione soggettivamente
inesistente si ha quando la fornitura è stata acquisita effettivamente dal
contribuente, ma essa è stata fornita da soggetto diverso dal fatturante.
L’IVA che il cessionario assume di aver pagato al cedente per
l’operazione soggettivamente inesistente (e cioè per la cessione non effettuata
da quel preteso cedente) non è detraibile in quanto pagata ad un soggetto che
non era legittimato alla rivalsa né era assoggettato all’obbligo di pagamento
dell’imposta. Unica eccezione alla non detraibilità in questi casi potrebbe
essere che l’acquirente non sapesse che il fornitore effettivo non era il
fatturante ma un altro. Ipotesi non impossibile ma meramente di scuola e
l’onere di provarla grava ovviamente sul contribuente che fa valere la
detrazione. Al di fuori di tale caso, nell’ipotesi di fatturazione per
operazioni soggettivamente inesistenti il Fisco, per escludere la detraibilità,
ha solo l’onere di provare - e può farlo anche mediante presunzioni essendo
principio di carattere generale che la prova dei fatti può essere data anche
mediante presunzioni - che la cessione non è stata effettivamente operata dal
fatturante.
Questi corretti concetti sono
stati precisati dalla Corte di Cassazione – Sezione Tributaria – con la
sentenza n. 15741 del 21/02/2012, depositata in cancelleria il 19/09/2012.
In conclusione, i contribuenti e gli uffici fiscali devono tener conto
di tutti i suesposti principi, più volte ribaditi dalla Corte di Giustizia CE e
dalla Corte di Cassazione – Sezione Tributaria –, sia nella fase di motivazione
degli avvisi di accertamento e sia nella fase di redazione dei ricorsi nel
processo tributario.
Lecce, 14 settembre 2013
Avv.
Maurizio Villani
AVV. MAURIZIO VILLANI
Avvocato Tributarista in Lecce
Patrocinante in Cassazione
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