La mediazione fiscale obbligatoria
ex art. 17-bis D. Lgs. 546/92
A cura di
Avv. Maurizio Villani e Avv. Francesca
Giorgia Romana Sannicandro
Studio legale Tributario Villani Via
Cavour, 56
–
73100 Lecce –
LA MEDIAZIONE FISCALE OBBLIGATORIA
EX ART 17-BIS D. LGS. 546/92
INDICE
1-
Il reclamo e la mediazione fiscale obbligatoria
come riformata
dal d.l.
n. 98 del 06.07.2011 conv. in L. 111 del 15.7.2011 pag. 3
2-
La norma: D.L. 98/2011, art. 39 commi 9,10,11
pag. 5
3-
La natura del reclamo pag.
7
4-
L’oggetto
pag. 9
5-
La procedura
pag. 11
6-
Il reclamo e gli strumenti deflativi del
contenzioso pag. 13
7-
Il rapporto tra il reclamo e l’accertamento
esecutivo pag. 18
8-
La Circolare n. 9/E/2012 del 19 marzo 2012 pag. 24
9-
I dubbi dell’istituto pag. 31
10- Quadro
sinottico delle sanzioni pag.
37
11- La
circolare n. 33/E del 03 agosto 2012 pag.
40
12- Conclusioni pag.
42
1. Il reclamo e la mediazione fiscale
obbligatoria alla luce della riforma operata dal D.L. n. 98 del 06.07.2011,
convertito con la Legge n. 111 pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 16
luglio 2011.
Sulla
scia delle scelte civilistiche e commerciali, il Legislatore prosegue con
l’opera di trasferimento – per fini deflativi – della soluzione delle
controversie in favore degli strumenti alternativi alla giurisdizione,
introducendo l’obbligatorio esperimento di una procedura conciliativa anche con
riferimento alla materia tributaria.
Uno
degli intenti riformatori sottostanti alle manovre estive del 2011 è
sicuramente quello di ridurre le cause pendenti innanzi alle Commissioni
Tributarie mediante l’introduzione
dell’istituto del “reclamo e della mediazione” nella procedura tributaria.
Con il
D.L. n. 98 del 06.07.2011 – convertito con modificazioni in L. n. 111 del 15.07.2011, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 16
luglio 2011 (manovra economica 2012-2014)– , è previsto,
all’art. 39 commi 9 – 10 – 11, l’introduzione, nel D. Lgs. 546/92 (recante
disposizioni in materia di processo tributario), dell’art. 17 bis, rubricato
“il reclamo e la mediazione”.
Come
illustrato nella relazione di accompagnamento al disegno di legge di
conversione del citato decreto, il nuovo istituto dovrebbe offrire un “rimedio
amministrativo per deflazionare il contenzioso relativo ad atti di valore non
elevato, emessi dall’Agenzia delle entrate” e notificati ai
contribuenti a partire dalla data del 1° aprile 2012.
Nonostante
le limitazioni della fattispecie prospettata, la finalità del nuovo obbligo di
cui si fa carico il contribuente è quella di evitare il più possibile
l’instaurazione di un contenzioso, in favore di una composizione bonaria della
controversia, che, tuttavia, come vedremo, non sembra riservare i vantaggi che
una rinuncia giurisdizionale dovrebbe comportare.
La
sequenza del reclamo e della mediazione prevede una sorta di proposta inoltrata
dal soggetto – facoltativa – che propone
reclamo e che è suscettibile di accoglimento o di rigetto da parte
dell'amministrazione finanziaria ed una successiva proposta di mediazione
dell’ufficio – obbligatoria – . In mancanza di tale proposta, la norma prevede,
invece, l’obbligo, da parte dell’ufficio, di proporre una mediazione. La
struttura che seguirà le procedure di reclamo sarà una ad hoc, differente rispetto a quella che ha provveduto all’
emissione dell'atto impugnato.
Vi
sono poi alcuni aspetti che rendono il percorso del reclamo simile ad atti che
vengono trattati nel contenzioso tributario; questo aspetto emerge mediante il rinvio alle disposizioni
in materia di conciliazione giudiziale ovvero, più ancora, al fatto che il
reclamo di fatto si tramuta in ricorso e dunque viene intrapresa la strada del
giudizio tributario vero e proprio, già da una fase antecedente a quella –
eventuale - processuale. Il passo dal reclamo al ricorso (da intendere come
contenuto del reclamo) è fissato dal termine di 90 giorni, che decorrono dal
giorno successivo:
- a quello di compimento dei 90 giorni dal ricevimento
dell'istanza da parte della direzione provinciale o regionale, qualora entro
tale termine non sia stato notificato il provvedimento di accoglimento ovvero
non sia stato formalizzato l'accordo di mediazione;
- a quello di notificazione del provvedimento
di diniego o di accoglimento parziale dell'istanza prima del decorso dei
predetti 90 giorni (se il contribuente riceve comunicazione del provvedimento
dopo la scadenza del novantesimo giorno, il termine di 30 giorni per la
costituzione in giudizio decorre comunque dal giorno successivo a quello di
compimento dei 90 giorni).
La circolare
esplicativa n. 9/E/2012 del 19 marzo 2012, specifica che l’ufficio contenzioso
delle direzioni regionali sarà rinominato ufficio legale e sarà distaccato dal
settore controlli e riscossione; l’ufficio dipenderà direttamente dal direttore
regionale.
Questa
circostanza, garantirebbe, secondo l’Agenzia delle Entrate, la terzietà
richiesta dall’istituto; unitamente al distacco fisico dell’ufficio, ci si
chiede se potrà bastare questa delimitazione a garantire l’ imparzialità dei
procedimenti.
Ma, molti ancora sono i dubbi.
Il
legislatore prevede, altresì, che la proposizione del reclamo è condizione di
ammissibilità del ricorso e può essere rilevata in ogni stato e grado del
processo.
A tal
proposito, segnaliamo – nel paragrafo n. 8 “i dubbi sull’istituto” – il profilo
incostituzionale prospettato attraverso il requisito dell’inammissibilità nei
casi di mancanza della proposizione del reclamo.
2. La norma: D.L. 98/2011, art. 39 commi
9,10,11
Il
comma 9 dell’art. 39 citato ci fornisce il testo letterale della nuova
disposizione tributaria; art. 17 bis: “Dopo l’articolo 17 del decreto
legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e’ inserito il seguente articolo:
«Art. 17-bis (Il reclamo e la mediazione) –
1. Per le controversie di valore non
superiore a ventimila euro,relative ad atti emessi dall’Agenzia delle entrate,
chi intende proporre ricorso e’ tenuto preliminarmente a presentare reclamo
secondo le disposizioni seguenti ed e’ esclusa la conciliazione giudiziale di
cui all’articolo 48.
2. La presentazione del reclamo e’
condizione di ammissibilita’ del ricorso. L’inammissibilita’ e’ rilevabile
d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.
3. Il valore di cui al comma 1 e’
determinato secondo le disposizioni di cui al comma 5 dell’articolo 12.
4. Il presente articolo non si applica
alle controversie di cui all’articolo 47-bis.
5. Il reclamo va presentato alla Direzione
provinciale o alla Direzione regionale che ha emanato l’atto, le quali
provvedono attraverso apposite strutture diverse ed autonome da quelle che
curano l’istruttoria degli atti reclamabili.
6. Per il procedimento si applicano le
disposizioni di cui agli articoli 12,18, 19, 20, 21 e al comma 4 dell’articolo 22, in quanto compatibili.
7. Il reclamo può contenere una motivata
proposta di mediazione, completa della rideterminazione dell’ammontare della
pretesa.
8. L’organo destinatario, se non intende
accogliere il reclamo volto all’annullamento totale o parziale dell’atto,ne’
l’eventuale proposta di mediazione, formula d’ufficio una proposta di
mediazione avuto riguardo all’eventuale incertezza delle questioni controverse,
al grado di sostenibilità della pretesa e al principio di economicità dell’azione
amministrativa. Si applicano le disposizioni dell’articolo 48, in quanto compatibili.
9. Decorsi novanta giorni senza che sia
stato notificato l’accoglimento del reclamo o senza che sia stata conclusa la
mediazione, il reclamo produce gli effetti del ricorso. I termini di cui agli
articoli 22 e 23 decorrono dalla predetta data. Se l’Agenzia delle entrate
respinge il reclamo in data antecedente, i predetti termini decorrono dal
ricevimento del diniego. In caso di accoglimento parziale del reclamo, i
predetti termini decorrono dalla notificazione dell’atto di accoglimento
parziale.
10. Nelle controversie di cui al comma 1
la parte soccombente e’ condannata a rimborsare, in aggiunta alle spese di
giudizio, una somma pari al 50 per cento delle spese di giudizio a titolo di
rimborso delle spese del procedimento disciplinato dal presente articolo. Nelle
medesime controversie, fuori dei casi di soccombenza reciproca, la commissione
tributaria, può compensare parzialmente o per intero le spese tra le parti solo
se ricorrono giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione, che
hanno indotto la parte soccombente a disattendere la proposta di mediazione.”.
Di
notevole importanza, oltre al dettato normativo che si spiegherà nel prosieguo,
la collocazione della norma all’interno del Decreto recante disposizioni in
materia di processo tributario.
Come
noto, il titolo II del D. Lgs. 546/92, rubricato “Il Processo”, introduce, l’argomento con l’art. 18, rubricato “Il
ricorso”; in un’ottica astringente e perentoria, quale quella delle norme del
processo tributario, l’art. 17 bis si
impone sulla scena fiscale, come ultima norma del titolo I, capo II, del D.
Lgs. 546/92, rubricato “delle parti e della loro rappresentanza e assistenza in
giudizio”; sintomatico il fatto che, trattandosi di un ibrido tra il ricorso
vero e proprio e la fase antecedente allo stesso, non trova la giusta
collocazione nel Titolo II – rubricato “il processo”, ma risulta oltremodo
fuori campo la sua attuale ubicazione, non essendo nemmeno relativo all’argomento
in cui è stato inserito.
3. La natura del reclamo
Dato
il tenore della norma – art. 17 bis, comma 8 “annullamento totale o parziale” –
il reclamo sembra avere i connotati di un’istanza di autotutela obbligatoria,
preventiva al ricorso.(relativamente al profilo critico di questo aspetto si
rinvia al par. 9, lett. f).
Da
un’attenta lettura del disposto normativo, emerge come la disciplina del
reclamo-mediazione di cui all’art. 17 bis, è stata inserita nel corpus delle norme processuali
tributarie quasi ad evidenziare la diretta strumentalità dell’istituto con i
propositi funzionali della giustizia tributaria.
La
nuova procedura, infatti, si offre come rimedio amministrativo prima, e come
presupposto giudiziale poi, al fine di far coincidere – in un’ottica di
deflazionamento del contenzioso – le necessità del sistema tributario e i
diritti dei contribuenti.
Almeno
questi sono gli intenti divulgati dalla voce fiscale, ancora in attesa di
essere verificati.
Il
reclamo è un procedimento di “secondo grado”, in quanto viene avviato alla
conclusione di un precedente procedimento amministrativo (quello che si è
concluso con l’emanazione dell’atto ritenuto viziato).
Esso
definisce la questione nell’ambito della funzione tipica della Pubblica
Amministrazione, quella amministrativa, senza che alcun organo giurisdizionale
(Giustizia Amministrativa o Giustizia Ordinaria) debba pronunziarsi.
Infatti,
sebbene rivolto a conseguire l’annullamento totale o parziale del provvedimento,
non assume la forma di uno dei ricorsi tipici, bensì ne ricava alcune
caratteristiche peculiari:
-
l’impugnatorietà: il reclamo ha certamente
natura impugnatoria, in quanto configura un rimedio contro un atto
amministrativo lesivo dell’interesse sostanziale garantito dalla norma;
-
la giustizialità: il reclamo sorge da una
controversia ed è un mezzo, il primo e in alcuni casi ultimo, di difesa del
contribuente relativamente ad una situazione giuridica che la parte afferma
essere stata lesa, per cui l’Ufficio si pronuncia in relazione ad elementi e motivi esistenti
nella domanda di parte.
-
la non estraneità: il reclamo non è presentato
ad un giudice, bensì ad un organo che non si trova in una posizione di distacco
rispetto ad una delle parti in causa: infatti fa parte della stessa Pubblica
Amministrazione alla quale appartiene l’organo che ha emanato l’atto –
nonostante la sua ubicazione sia estranea
agli uffici dai quali vengono posti in essere gli atti di accertamento – .
Non
può, oltretutto, essere considerato un ricorso gerarchico vero e proprio.
La
norma dispone che la struttura dell’ente impositore competente al reclamo sia
diversa e autonoma da quella che ha emanato l’atto reclamabile, anche se non è
né sovra né sott’ordinata all’ufficio che ha emanato l’atto: il reclamo va
infatti presentato alla direzione provinciale o alla direzione regionale, che
lo affida alle strutture deputate alla gestione del contenzioso per un esame
operato in piena autonomia rispetto alle diverse strutture che hanno curato
l’istruttoria degli atti reclamabili; tale struttura autonoma farà capo
direttamente al direttore provinciale o al direttore regionale.
Il
reclamo appare così come uno strumento “atipico”, ma comunque aderente alle
linee organizzative della Pubblica Amministrazione, ormai irreversibilmente
mutate e che sempre più vedono affievolire il rilievo dell’ordinamento
gerarchico al proprio interno.
Risulta
opportuno, in questa sede, evidenziare come in dottrina, ci siano già delle
tesi contrastanti proprio sulla natura dell’istituto ed in particolare sulle
lapalissiane differenze emergenti dal confronto con la disciplina civilistica
(da cui proviene l’istituto).
Infatti,
alcuni hanno intravisto nella mediazione uno strumento di privatizzazione della giustizia con la conseguenza che diventa
elevatissimo il rischio della caduta delle garanzie offerte alla parte più
debole e una sostanziale negazione dell’accesso alla giustizia.
Da un
confronto con la disciplina civilistica, invero, balza agli occhi una grave
anomalia; nel settore civilistico la domanda di mediazione è proposta con una
istanza (avente determinati requisiti) ad un organismo abilitato e terzo(enti
appositamente iscritti in un apposito registro presso il Ministero della
Giustizia); nel ramo tributario, invece, la stessa va inoltrata “alla
Direzione provinciale o regionale che ha emanato l’atto, le quali provvedono
attraverso apposite strutture diverse ed autonome da quelle che curano
l’istruttoria degli atti reclamabili”(come disposto dall’art. 17-bis,
comma 5).
Pur
avendo mutuato dalla disciplina civilistica il carattere di procedibilità per
l’accesso alla giustizia tributaria – che nel caso del diritto tributario si
tramuta in “inammissibilità”, cfr. par. 9, lett. e) – , non si intravede
nessuna figura di “mediatore”, ma si continua a vedere ancora una violazione
costituzionale dei principi di legittima difesa e di imparzialità dei
procedimenti giurisdizionali.
Dunque,
un rimedio amministrativo paraprocessuale, che attraverso la valutazione – per
il tramite di un ufficio legale terzo rispetto all’ufficio “impositore” – del
“grado di sostenibilità della pretesa, dell’incertezza della questione
controversa e del principio di economicità dell’azione amministrativa”, consentirebbe
– in via stragiudiziale – la definizione
della lite.
Sicuramente,
vi sarà un confronto dialettico tra Amministrazione e contribuenti, ma non
sembra ancora chiaro, in che modo e secondo quale principio sottostante
all’imparzialità che vige nei procedimenti giudiziali, ci sarà un accordo, nel
vero senso del termine.
L’introduzione
dell’istituto in esame, non può non tenere conto del fatto che, da sempre, il
Fisco e i contribuenti parlano due lingue diverse; figuriamoci poi, quando la
valutazione di una querelle viene
affidata a qualcuno di parte – di cui non si sanno neanche le competenze e il modo in cui sono
state raggiunte.
4.
L’oggetto
Il comma 1 dell’art. 17-bis
individua immediatamente quali siano le controversie che, obbligatoriamente,
devono transitare dalla fase del reclamo, pena l’inammissibilità del ricorso. Si
tratta delle controversie che, congiuntamente, riguardano:
• una pretesa impositiva in
termini di imposte dovute non superiore a 20 mila euro indipendentemente
dal tributo in contestazione riconducibile all’Agenzia delle Entrate. Sul punto
va rilevato come in caso di contestazione afferente più tributi dovrà
essere presa in considerazione la somma dei tributi medesimi mentre, nel caso
di atto di irrogazione delle sanzioni, il limite in questione andrà
ovviamente valutato con riferimento all’ammontare delle stesse;
• relative agli atti indicati
nell’art. 19 del D. Lgs. n. 546/1992.
Particolare importanza riveste il
chiarimento reso dall’Agenzia delle Entrate, nella circolare, relativamente
alla circostanza che tra gli atti che devono transitare dalla procedura del
reclamo rientra anche il diniego tacito rispetto ad una istanza di
rimborso.
Altra questione sulla quale appare
opportuno effettuare una riflessione attiene alla possibilità di proporre
reclamo in relazione al ruolo che, solitamente, si concretizza da parte
dell’Agenzia delle Entrate, in una cartella esattoriale. Ovviamente, il
caso di specie non si riferisce alla cartella esattoriale emessa
successivamente alla notifica di un accertamento (laddove ancora non
esecutivo), ma all’atto tipicamente riscossivo con il quale l’Amministrazione
finanziaria procede, ad esempio, ad esigere somme derivanti dalla liquidazione
della dichiarazione ovvero dal controllo formale della stessa.
Tali cartelle esattoriali, laddove
riportanti una pretesa impositiva inferiore ai 20 mila euro, dovranno essere
considerate ai fini della chiusura della procedura di reclamo, anche in
relazione all’ammontare della riduzione della sanzione dovuta.
Infatti, nell’ambito della nuova
procedura, sono dovute le sanzioni nella misura del 40% della sanzione edittale
analogamente a quanto previsto in materia di conciliazione giudiziale (art. 17
bis, comma 8).
Riassumendo, il reclamo:
-
è l’atto introduttivo della fase amministrativa di riesame dell’atto
impositivo;
-
deve riprodurre gli stessi requisiti di contenuto e di forma propri del ricorso
in sede giurisdizionale.
Pertanto:
- per proporre reclamo contro atti di valore superiore a 2.582, 28 euro, il contribuente deve essere assistito da un difensore abilitato ex art. 12, D. Lgs. n. 546 del 1992;
- per proporre reclamo contro atti di valore superiore a 2.582, 28 euro, il contribuente deve essere assistito da un difensore abilitato ex art. 12, D. Lgs. n. 546 del 1992;
- il
reclamo deve contenere gli elementi elencati nell’art. 18, D. Lgs. n. 546 del
1992;
- possono essere oggetto di reclamo soltanto gli atti impugnabili indicati dall’art. 19, D. Lgs. n. 546 del 1992;
- possono essere oggetto di reclamo soltanto gli atti impugnabili indicati dall’art. 19, D. Lgs. n. 546 del 1992;
- il
reclamo deve essere notificato secondo le modalità previste dall’art. 16, D.Lgs.
n. 546 del 1992;
- il
termine per la proposizione del reclamo è di 60 giorni dalla notifica dell’atto
impositivo (ex art. 21, D. Lgs. n. 546 del 1992);
- il
reclamo deve essere depositato presso l’ufficio che ha emesso l’atto impositivo
secondo le modalità indicate dall’art. 22, D. Lgs. n. 546 del 1992.
Il procedimento è attivabile
per le controversie di valore non superiore a 20.000,00 Euro, calcolato sulla
base del valore del tributo ed al netto di sanzioni e interessi, che secondo
quanto riportato nella relazione al provvedimento, costituiscono oltre la metà
di quelle instaurate presso le Commissioni tributarie (105.000 controversie,
pari al 56% di quelle instaurate nel 2010).
L’ambito oggettivo comprende
anche le controversie sui rimborsi d’imposta (compresi i dinieghi alle istanze
di rimborso), ma sono escluse le controversie in materia di recupero di aiuti
di stato ex art. 47 bis del D. Lgs. 546/92.
5.
La
Procedura
Preliminarmente le condizioni
di accesso alla fase giurisdizionale sono :
-
gli atti suscettibili di reclamo devono essere
notificati a decorrere dal 1° aprile
2012;
-
l’entità
della lite deve essere di importo non superiore ai 20.000,00 Euro; con
tale somma si intendono le sole maggiori imposte contestate con l’atto
impositivo e quindi al netto di interessi e sanzioni;
-
l’atto
impositivo deve essere emesso dall’Agenzia delle Entrate e non
da altri enti o amministrazioni.
Fatti
salvi i presupposti in fatto appena esposti: il reclamo va presentato alla
Direzione provinciale o alla Direzione regionale che ha emanato l'atto, le
quali provvedono attraverso apposite strutture diverse ed autonome da quelle
che curano l'istruttoria degli atti reclamabili.
Per il
procedimento si applicano, ove compatibili, le disposizioni previste per il
normale contenzioso tributario e precisamente le regole in materia di:
- assistenza tecnica (art. 12 D.Lgs. n. 546/1992);
- ricorso, atti
impugnabili, oggetto e termini per la e proposizione dello stesso (artt. 18, 19, 20 e 21 D.Lgs. n.
546/1992).
Il
reclamo può contenere una motivata proposta di mediazione, completa della
rideterminazione dell'ammontare della pretesa.
L'Agenzia delle Entrate
(organo destinatario del reclamo), se non intende accogliere il reclamo volto
all'annullamento totale o parziale dell'atto, né l'eventuale proposta di
mediazione, deve formulare d'ufficio una proposta di mediazione avuto riguardo
all'eventuale incertezza delle questioni controverse, al grado di sostenibilità
della pretesa e al principio di economicità dell'azione amministrativa.
Si
applicano le stesse regole previste per la conciliazione giudiziale di cui
all'art. 48 D.Lgs. n. 546/1992, in
quanto compatibili.
Decorsi novanta giorni senza che sia stato
notificato l'accoglimento del reclamo o senza che sia stata conclusa la
mediazione, il reclamo produce gli effetti del ricorso.
Pertanto,
i termini per la costituzione
in giudizio del ricorrente (art. 22
D.Lgs. n. 546/1992) e della parte resistente (art. 23) decorrono dalla
predetta data.
Se l'Agenzia delle entrate respinge il
reclamo in data antecedente, i predetti termini decorrono dal ricevimento del
diniego.
In caso di accoglimento parziale del
reclamo, i predetti termini decorrono dalla notificazione dell'atto di
accoglimento parziale.
Nelle
controversie aventi ad oggetto una procedura di reclamo, la parte soccombente è
condannata a rimborsare, in aggiunta alle spese di giudizio, una somma pari al
50% delle spese di giudizio a titolo di rimborso delle spese del reclamo.
Parimenti,
fuori dei casi di soccombenza reciproca, la commissione tributaria può
compensare totalmente o parzialmente le spese tra le parti, solo se ricorrono
giusti motivi, esplicitamente indicati, che hanno indotto la parte soccombente
a disattendere la proposta di mediazione.
In
caso di presentazione di istanza di accertamento con adesione, il
termine per la proposizione del reclamo è sospeso per un periodo
di novanta giorni dalla data di presentazione dell’istanza di
accertamento con adesione. In pratica, il contribuente a cui è stato notificato un avviso di
accertamento che, in termini di imposta non supera la soglia dei 20 mila euro,
potrà:
a) effettuare acquiescenza
rispetto alla pretesa;
b) proporre istanza di
accertamento con adesione;
c) in caso di mancata
definizione in adesione potrà essere proposto reclamo;
d) nel caso di mancato accordo
di mediazione, proporre la controversia alla cognizione del giudice
tributario;
Per
converso, laddove dovesse essere proposto preliminarmente il reclamo,
non potrà essere formulata istanza di
accertamento con adesione. In altri termini non può verificarsi la “retrocessione”
da una fase contenziosa ad una fase amministrativa;
Ai
fini della proposizione dell’istanza di mediazione opera la sospensione
processuale del periodo feriale che, invece, non opera in relazione alla
fase amministrativa nella quale l’ufficio che esamina il reclamo
procede, eventualmente, allo svolgimento di un contraddittorio con il
contribuente.
Appare
opportuno sottolineare che, seppure non disciplinata, è possibile che
intervenga anche la sospensione della riscossione in virtù del richiamo
che la circolare dell’Agenzia delle Entrate formula alla disciplina dell’autotutela.
Nella sostanza, se da un punto di vista normativo la proposta di mediazione
può comportare anche l’annullamento dell’atto impositivo, in tale potere è
compreso anche quello di sospendere – “in via amministrativa” – la riscossione
contenuta nell’atto. È questo un tema che andrà attentamente valutato in
relazione al possibile esercizio del potere di autotutela rispetto al reclamo
formulato dal contribuente. Infatti, considerando i tempi strettamente delineati
dalla norma e considerando come l’Agenzia delle Entrate, che la trattazione del
reclamo può condurre anche all’annullamento dell’atto, indirettamente
tale nuovo istituto potrebbe garantire in termini più veloci l’esercizio dell’autotutela
laddove ne sussistano i presupposti. In ogni caso, la sospensione della
riscossione non può protrarsi oltre i termini previsti dalla legge per la
definizione della procedura di reclamo e, successivamente, laddove venga
instaurato il giudizio dinanzi al giudice tributario, la medesima richiesta
potrà essere formulata ai sensi dell’art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992.
6. Il reclamo e gli strumenti deflativi.
La
possibilità di scendere a patti col Fisco è stata introdotta per la prima volta
nel nostro ordinamento con il D.Lgs. n. 218/1997 recante disposizioni in
materia di accertamento con adesione.
L'introduzione di ulteriori strumenti deflativi del contenzioso tributario, ad
opera della manovra triennale del 2007 e del decreto anticrisi di fine 2008, ha
accelerato la riscossione dei proventi della lotta all'evasione e stabilizzato
il numero delle liti tra contribuenti e fisco. La litigiosità tra contribuenti
e amministrazione finanziaria viene molto limitata grazie all'offerta di ottime
riduzioni sulle sanzioni, tanto più generose, quanto prima si risolve la
controversia, se del caso, anche attraverso un ridimensionamento delle pretese
erariali.
Al
fine di rendere meno distaccata la fase dell’accertamento da quella della
riscossione, sono stati previsti degli istituti che, attraverso la rinuncia
alla fase giudiziale, permettono al contribuente e al Fisco di entrare in un
“dialogo” tanto agognato, con effettivi benefici, in termini di riduzioni delle
sanzioni, di possibilità di pagamento rateale delle somme e in alcuni casi anche
di piccole esimenti da possibili accertamenti futuri – relativamente ai contribuenti, ed in
termini di riduzione del contenzioso e costi della giustizia – relativamente al
Fisco, ormai oberato di giudizi in attesa di essere decisi.
Con la
circolare 20/E del 20 maggio 2010, l’Amministrazione finanziaria coglie
l’occasione per promuovere questo tipo di strumenti, con l’intento di
minimizzare la conflittualità tra Stato e contribuente, evitare i costi
relativi all’instaurazione di contenziosi inutili e perseguire la strada delle
Commissioni tributarie solo qualora tale scelta sia ragionevolmente opportuna.
Pare
così, che negli ultimi 15 anni, gli strumenti deflativi del contenzioso abbiano
raggiunto brillanti obiettivi, sia in termini processuali che in termini
numerici.
La
tanto voluta e cercata partecipazione del contribuente al procedimento di
verifica del Fisco abita in questi strumenti consensuali, che mitigano
l’accesso al contenzioso ma, allo stesso tempo, non ne precludono l’avvio ed in
alcuni casi, ne fanno cessare gli effetti in virtù di pronte risoluzioni.
In
tema di strumenti deflativi, il più utilizzato, risulta sicuramente
l’accertamento con adesione.
Infatti,
ai sensi dell’art. 1 del D.lgs. n. 218/del 19.06.1997, l’accertamento delle
imposte sul reddito e dell’imposta sul valore aggiunto può essere definito con
l’adesione del contribuente. L’istituto, che costituisce un prius rispetto all’accertamento vero e
proprio, evita l’emissione dell’atto impositivo impugnabile innanzi alla
commissione tributaria provinciale.
La
norma in esame non prevede soltanto “la rettifica della dichiarazione”, ma
ammette la definizione anche in assenza di dichiarazione; inoltre se viene
notificato un atto di accertamento, purché non preceduto dall’invito ad aderire
e purché non impugnato, è possibile proporre istanza di adesione che, nel caso
di insuccesso, non preclude l’incipit
della causa in commissione tributaria.
In
sintesi, tale strumento permette, la
rideterminazione delle maggiori imposte accertate, attraverso il riesame
dell’atto di accertamento, a seguito del contraddittorio tra fisco e
contribuente.
La
caratteristica dell’istituto de quo,
risiede nella premialità che discende dal suo utilizzo, in alternativa
all’immediato ricorso; in particolare, in termini di sanzioni, ridotte ad un
terzo, oltre che nella sospensione dei termini per l’impugnazione, di 90
giorni.
In
un’ottica di risoluzione fiscale, come quella che ci apprestiamo a vivere,
l’accertamento con adesione ha prodotto una serie di soluzioni a casi importanti,
tale da essere preferito alla quasi totalità degli istituti a garanzia del
contribuente (come l’autotutela, l’acquiescenza).
Ricordiamo
che tale istituto può essere attivato sia dal fisco che dal contribuente e che
può produrre effetti positivi – che sbarrano la strada alla fase giudiziale, o
effetti negativi – che si antepongono all’avvio del giudizio.
A
seguito di un attento confronto tra la mediazione e l’istituto dell’accertamento con adesione,
emergono una serie di dicotomie, oltre che alcune similitudini.
Innanzitutto,
si tratta di due istituti differenti e autonomi; nessuna delle due esclude
l’altra, anzi mentre l’adesione si verifica in una fase antecedente al
contenzioso e può arrestarsi con un accordo stragiudiziale, il reclamo, seppur beneficiando,
come nell’adesione, dell’eventuale definizione transattiva stragiudiziale, può,
effettivamente, essere considerato l’anticamera della fase processuale.
Tanto
vero che, in assenza di reclamo, il ricorso risulta inammissibile.
Come
noto, l’istituto dell’adesione prevede il riesame da parte dell’ufficio della
pretesa erariale; accade di frequente, che la pretesa sia rideterminata in modo
parziale e che per la restante somma non concordata, il contribuente decida di
proporre ricorso. Dal primo aprile 2012, in tutti i casi in cui dovesse
prospettarsi una fattispecie analoga, al ricorrere dei presupposti (atto emesso
dall’agenzia delle entrate e soglia fino ad un massimo di € 20.000,00), sarà
obbligatorio proporre un reclamo preventivo alla fase giudiziale.
La
netta differenza intercorrente tra i due istituti, seppur ambedue con natura
premiale, consiste innanzitutto nell’identificazione del contraente “più
forte”; in entrambi i casi, si tratta dell’Ufficio, anche se, come specificato
dalla norma (art. 17 bis), nel caso di reclamo, ci sarà un ufficio diverso da
quello che ha emesso l’atto, a valutare la fattispecie.
Ci si
sarebbe aspettati di doversi rivolgere ad un “mediatore”, ma nonostante le
precisazioni circa l’”autonomia” dell’ufficio che si occuperà dei reclami, si
intravede, ancora una volta, una sorta di “abuso del diritto”, formulato per
vie legali.
Già
con l’istituto dell’adesione, nonostante i benefici concessi agli utilizzatori
dello stesso, il contribuente si trova a dover “spiegare” le risultanze delle
pretese, sapendo che non si trova a doverlo fare con una parte terza ed
imparziale – come peraltro vorrebbe la Costituzione - ; con la mediazione non abbiamo ancora la
certezza che il riesame della posizione contributiva venga fatto da un organo
terzo e imparziale, anzi, la certezza è che sicuramente non lo sarà.
Tuttavia,
ricordiamo che – come previsto dall’art. 4 del D. Lgs. n. 218/1997 - “La
definizione non esclude l'esercizio dell'ulteriore azione accertatrice entro i
termini previsti dall'articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica
29 settembre 1973, n. 600, relativo all'accertamento delle imposte sui redditi,
e dall'articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972,
n. 633, riguardante l'imposta sul valore aggiunto:
a) se sopravviene la conoscenza di nuovi
elementi, in base ai quali e' possibile accertare un maggior reddito, superiore
al cinquanta per cento del reddito definito e comunque non inferiore a
centocinquanta milioni di lire;
b) se la definizione riguarda accertamenti
parziali;
c) se la definizione riguarda i redditi
derivanti da partecipazione nelle società o nelle associazioni indicate
nell'articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con
decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, ovvero in
aziende coniugali non gestite in forma societaria;
d) se l'azione accertatrice e' esercitata
nei confronti delle società o associazioni o dell'azienda coniugale di cui alla
lettera c), alle quali partecipa il contribuente nei cui riguardi e'
intervenuta la definizione.”
In
questi casi, il contribuente che volesse proporre ricorso sarà obbligato a fare
una proposta di reclamo preventiva al ricorso, con la sola differenza che
mentre nell’accertamento con adesione il contribuente, come notoriamente
accade, non presenta all’ufficio la documentazione completa a riprova
dell’infondatezza della domanda erariale, in quanto, si precluderebbe, in una
fase successiva, gli aspetti della difesa prospettabili in un ricorso di cui
dovrà decidere un giudice – in teoria
terzo e imparziale - .
Invero,
il contenuto del reclamo dovrà essere identico a quello del ricorso, a pena
d’inammissibilità, facendo così, in qualche modo svelare tutta la tesi
difensiva del contribuente.
Infatti,
è importante rilevare che l’adesione non rappresenta un grado di difesa del
contribuente, cosa che invece è alla base del reclamo, sia per la circostanza
temporale (ricordiamo che la predisposizione del reclamo presuppone la notifica
avvenuta di un atto di accertamento), sia per un aspetto contenutistico
(l’adesione non ha requisiti obbligatori a pena d’inammissibilità).
In
buona sostanza, esclusi i casi in cui l’ufficio è tenuto ad una preventiva
convocazione del contribuente – come nei procedimenti relativi agli studi di
settore, la normativa antielusiva e i nuovi accertamenti sintetici – il reclamo
si dovrebbe inserire tra l’esito negativo di un accertamento con adesione e la
costituzione in giudizio dinanzi alla competente Commissione tributaria provinciale.
Tanto
vero che la norma non prevede in alcuna maniera – nelle stesse circostanze in cui il reclamo si
renda obbligatorio – non possa, allo
stesso tempo, applicarsi l’istituto dell’adesione: ben potrà ritenersi
un’ulteriore fase stragiudiziale antecedente al contenzioso.
Infatti,
durante gli ulteriori 90 giorni concessi dalla proposizione del reclamo, è
fatta salva la possibilità al contribuente di formulare una vera e propria
proposta di mediazione (comprensiva della rideterminazione dell’ammontare della
pretesa),o, in caso di discordanza, in base ad una proposta formulata
dall’ufficio.
Quello
che si cerca di evitare a tutti i costi è l’instaurazione del contenzioso,
attraverso una specie di “annullamento” dell’atto impositivo, in quanto la
norma prescrive che “decorsi 90 giorni
senza che sia notificato l’accoglimento del reclamo o senza che sia stata
conclusa la mediazione, il reclamo produce gli effetti del ricorso”, con la
conseguenza che i termini per la costituzione in giudizio decorrono da questa
data; diversamente in caso di diniego o di accoglimento parziale i termini
decorrono dal ricevimento del diniego o dell’accoglimento parziale.
Infine,
non si capisce come, secondo la norma in esame, possa definirsi la procedura di
reclamo che “si perfeziona nei modi
previsti per la conciliazione giudiziale, le cui disposizioni, in quanto
compatibili, sono espressamente richiamate”.
Ricordiamo
che la conciliazione giudiziale, prevista dall’art. 48 del D. Lgs. 546/92 è uno
strumento tipico della fase giudiziale, non a caso posizionato molto oltre la
fase introduttiva del contenzioso; in più, il richiamo alla conciliazione
prevede la definizione delle sanzioni nella misura del 40%, pertanto più
elevate rispetto alla misura di un terzo stabilita dalla definizione
stragiudiziale di adesione, oppure con l’omessa impugnazione.
Tra
gli strumenti consensuali dell’accertamento, troviamo anche l’istituto dell’autotutela, disciplinato dalle
previsioni di cui all'art. 68 del D.P.R. n. 287 del 1992 e all'art. 2-quater
del D. Lgs. n. 564 del 30 settembre 1994 (convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 656 del 30 novembre 1994) e regolamentato dal Decreto del Ministero
delle Finanze n. 37 dell' 11 febbraio 1997.
L'autotutela costituisce il
potere/dovere dell'amministrazione finanziaria di correggere o annullare, su
propria iniziativa o su richiesta del contribuente, tutti i propri atti che
risultano illegittimi o infondati.
Tale
potere spetta all'ufficio che ha emanato l'atto o che è competente per gli
accertamenti d'ufficio, oppure – in via sostitutiva e in caso di grave inerzia
– alla Direzione Regionale o
compartimentale dalla quale l'ufficio stesso dipende.
L’autotutela
tributaria determina la capacità contributiva manifestata dal presupposto
ovvero la giustizia dell’imposizione.
Ciò a cui mira il contribuente, quando ricorre all’autotutela, è
l’accertamento di legittimità sull’infondatezza della pretesa impositiva o dell’indebita
corresponsione di una somma effettuata a titolo d’imposta al fine della sua
restituzione. Attraverso un controllo di legittimità, il contribuente ha come
unico scopo quello di non subire un’ingiusta imposizione.
La
caratteristica risiede nella genesi normativa di rango costituzionale alla
quale si ispira l’istituto, in espresso richiamo degli artt. 23 e 53 della
Costituzione in cui si prevede che “nessuna
prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla
legge” e “tutti sono tenuti a
concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.
Notiamo
subito come, differentemente dall’adesione e comunemente al reclamo,
l’esercizio dell’autotutela avviene in un momento successivo a quello
dell’emissione dell’atto di accertamento, in quanto il presupposto per la sua
applicabilità è un atto di accertamento e la sua legittimità può essere
attivata d’ufficio e consta di tre situazioni che si identificano
nell’annullamento, revoca o rinuncia all’imposizione.
Importante
il termine entro cui può essere proposta l’autotutela da parte del
contribuente, ovvero fino al sopraggiungere del giudicato della sentenza.
Questo
significa, che, anche in pendenza di giudizio, può essere formulata un’istanza
di autotutela, o nei casi di non impugnabilità.
Anche
in questo caso, non ci troviamo di fronte ad uno strumento di difesa strictu sensu, in cui il contribuente ha
la facoltà di esprimere i propri rilievi relativamente alle censure segnalate
dall’amministrazione finanziaria; diversamente, in questa sede, viene valutato
l’errore, l’incompetenza, la tutela di un interesse pubblico, la legittimità
dell’atto.
Se
vogliamo, è anche un po’ l’intento che si propone l’istituto del reclamo,
attraverso il tentativo di addivenire ad un componimento che ponga le basi per
un annullamento dell’atto portato a conoscenza del contribuente.
Analogamente
all’istituto del reclamo, abbiamo una dispersione di competenze relativamente
al principio contenuto nello Statuto del Contribuente (L. 212/2000) e
precisamente all’art. 7 comma 2, lett. b)
in cui è previsto che “l’Amministrazione
finanziaria e i Concessionari della riscossione devono indicare tassativamente
nei propri atti l’organo o l’Autorità amministrativa presso i quali è possibile
promuovere un riesame anche nel merito degli atti stessi in autotutela”.
Dunque,
non solo un riesame in sede di legittimità, ma anche una valutazione nel
merito, per di più fatta da un organo o da un’Autorità che, oltre a rendersi
responsabile dell’atto “annullabile”, si renda anche funzionale ad una
valutazione nel merito della fattispecie.
Anche
in questo caso, in parallelo con il reclamo, non ci è dato conoscere chi e
secondo quale procedura (che dovrebbe essere soggetta alla trasparenza come
disciplinata nella L. 241/90), ricopre la figura dell’Autorità nel caso
dell’autotutela e del “mediatore”, nel caso del reclamo.
Tuttavia,
uno spiraglio di luce appare descritto nel successivo art. 13 dello Statuto, in
cui compare, in veste di organo esterno all’Amministrazione finanziaria, il
Garante del Contribuente – che secondo autorevole dottrina avrebbe un “potere di iniziativa di ufficio eteronoma”
– .
E
così, in virtù della citata disposizione, sarebbe auspicabile, o perlomeno in
qualche circostanza logico, pensare che una qualche figura “terza ed
imparziale” è già presente sulla scena fiscale, ma che la prassi non ha mai
coinvolto al punto tale da determinare una scelta univoca e decisa nei suoi
confronti.
Durante
l’approvazione del D.d.L. di stabilità finanziaria per il triennio 2012 – 2014,
il Consiglio dei Ministri ha deciso di trasformare la figura del Garante del
Contribuente da due o tre componenti di cui era formato, a organo monocratico;
come dire che una figura terza ed imparziale non prenderà mai parte ai simposi
tra fisco e contribuenti.
Infine,
appare opportuno ricordare che, l’autotutela non sospende il termine per
ricorrere, a differenza dell’adesione, in quanto, stante il carattere meramente
amministrativo dell’istituto, l’unico rimedio esistente, in presenza di un
anomalo silenzio dell’amministrazione, è la procedura contenziosa che, a
partire dal 1° aprile 2012, sarà obbligatoriamente attivabile – al ricorrere
dei requisiti innanzi specificati – esclusivamente previa presentazione del
reclamo ex. art. 17 bis D. Lgs. 546/92.
7. Il rapporto tra il reclamo e
l’accertamento esecutivo.
A
decorrere dal 1° ottobre 2011 l’attività di riscossione è incorporata nella
fase dell’accertamento relativamente ai periodi d’imposta in corso al
31.12.2007 e alle annualità successive.
L’art.
29 del Decreto Sviluppo n. 78 del 31.05.2010, convertito con modificazioni dalla
Legge 30 luglio 2010, n. 122, introduce
le nuove regole ai fini dell’accertamento esecutivo.
A
partire dal 01 luglio 2011 – data successivamente portata al 1° ottobre 2011 –
oggetto di accertamento esecutivo non saranno tutti i tributi, ma soltanto gli
avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate in materia di imposte
sui redditi, Irap e Iva nonché i provvedimenti di irrogazione delle sanzioni.
La
novità principale del nuovo accertamento abita nel contenuto dello stesso che
dovrà includere l’intimazione ad eseguire il pagamento delle somme pretese
entro il termine di presentazione del ricorso (60 giorni), ovvero, nel caso di
impugnazione dell’atto impositivo, le somme dovute a titolo provvisorio ai
sensi dell’art. 15 del D.P.R. n. 602/73.
Risulta,
pertanto, evidente, l’intento legislativo: contrastare per quanto possibile –
attraverso l’intimazione di pagamento contenuta già nell’avviso di accertamento
– il fenomeno dell’evasione dalla riscossione.
A
seguito delle indicate innovazioni normative, il termine entro cui occorre
provvedere al pagamento degli importi richiesti a titolo di imposta, sanzioni e
interessi è quello per la presentazione del ricorso, cioè gli ordinari 60 giorni, fatto salvo però il caso in cui
venisse presentata istanza di adesione (in tale situazione, il termine rimane
sospeso per ulteriori 90 giorni).
Decorsi 30 giorni dal termine ultimo per il
pagamento, come sopra individuato, se il contribuente non paga,
l'ufficio acquista titolo per delegare
l'agente della riscossione a procedere.
In
presenza di ricorso innanzi alla CTP, la richiesta corrisponde
alla metà delle imposte pretese; in presenza però di un pericolo per la
riscossione, può essere richiesto l'importo integrale, con la possibilità
per il concessionario di procedere a esecuzione forzata sulla base dell'avviso
di accertamento.
L'innovazione normativa si
traduce sostanzialmente nell'accelerazione dei tempi della riscossione
(parziale o totale) delle somme accertate, finalizzata a evitare i fenomeni di
sottrazione al Fisco delle somme che sono oggetto di atti impositivi.
In
sintesi, secondo la normativa in vigore:
- l'accertamento deve contenere l'avvertimento che,
decorsi 30 giorni dal termine ultimo per il pagamento, la riscossione delle
somme richieste sarà affidata ad Equitalia (incaricata del servizio di
riscossione dei tributi erariali);
- in caso di fondato pericolo per la riscossione, le
somme potranno essere affidate ad Equitalia prima dei termini di cui all'art. 29 del D.L. n. 78/2010, lettere a) e b);
- l'atto successivo rispetto all'avviso di
accertamento è costituito dal pignoramento, che deve essere notificato,
a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a
quello in cui l'accertamento è divenuto definitivo;
- a seguito dell'affidamento del credito ad
Equitalia, il contribuente può chiedere la dilazione delle somme
dovute.
Nel
nuovo sistema, l'avviso di accertamento
diviene esecutivo con il decorso
di 60 giorni dalla notifica dell'atto.
Pertanto, ai fini
dell'esecuzione, non è più necessaria la notifica della cartella di pagamento.
A pena
di nullità, l'avviso di accertamento
notificato al contribuente deve contenere:
- l'indicazione dell'imponibile o degli
imponibili accertati;
- l'indicazione delle aliquote applicate e delle
imposte liquidate, al lordo e al netto
delle detrazioni, delle ritenute di acconto e dei crediti d'imposta;
- i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che
lo hanno determinato.
- l'intimazione ad adempiere, entro il termine di
presentazione del ricorso, all'obbligo di versamento delle somme richieste;
- l'indicazione degli importi da pagare a titolo
provvisorio in caso di proposizione del ricorso, secondo quanto stabilito
dall'art. 15 del D.P.R. n.
602/1973;
- l'avvertimento che, decorsi 30 giorni dal termine
ultimo per il pagamento, la riscossione delle somme richieste in deroga alle
disposizioni in materia di iscrizione a ruolo sarà affidata ad Equitalia, ai
fini dell'esecuzione forzata.
Nel
nuovo contesto normativo, la riscossione, quindi, dovrà avvenire secondo la
sequenza procedimentale:
- avviso di accertamento
- affidamento del credito all'agente della
riscossione
- eventuale intimazione ad adempiere
- pignoramento
Poiché
l'atto impositivo acquisisce il carattere dell'esecutività, il contribuente
potrà evitare il rischio dell'esecuzione forzata solamente procedendo al
pagamento (senza che si renda necessaria alcuna cartella esattoriale, perché
non più prevista).
-
affidamento del credito ad Equitalia con modalità che verranno determinate con
provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate (se l'ufficio
dell'Agenzia delle Entrate dispone di ulteriori elementi utili – ai fini dell'efficacia della riscossione – li fornirà al momento dell'affidamento);
-
sulla base del titolo esecutivo
(che è costituito dall'avviso di accertamento)
l'agente della riscossione, senza la preventiva notifica della cartella,
procederà con l'espropriazione forzata, ai sensi del D.P.R. n. 602/1973 (l'espropriazione, in
ogni caso, dovrà essere avviata, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del
secondo anno successivo a quello in cui l'accertamento è divenuto definitivo).
L'art.
29 comma 1 lett. a), del D.L. n. 78/2010, prevede che l'intimazione ad
adempiere al pagamento è altresì contenuta nei successivi atti da notificare al
contribuente, anche mediante raccomandata con avviso di ricevimento.
Ciò
avviene in tutti i casi in cui siano stati rideterminati gli importi dovuti, in
base agli avvisi di accertamento,
ai fini delle imposte sui redditi e dell'IVA (mancato pagamento anche di una
sola delle rate dovute a seguito di accertamento
con adesione; pagamento del tributo in pendenza di processo; esecuzione delle
sanzioni amministrative).
In tali
ipotesi, il versamento delle somme deve avvenire entro 60 giorni dal
ricevimento della raccomandata.
Nel
caso in cui il contribuente raggiunto dall'atto impositivo scelga la strada del
contenzioso, può essere richiesta la sospensione dell'atto stesso:
-in
sede giudiziale, dinnanzi alla CTP (art. 47, D. Lgs. n. 546/1992), in
presenza di verosimiglianza della pretesa (fumus boni iuris) e del danno
grave e irreparabile (periculum in mora);
- in
sede amministrativa, come è precisato dall'art. 29 del D.L. n. 78/2010,
richiamando l'art. 39 del D.P.R. n. 602/1973.
Risulta
altresì opportuno precisare un esempio di impugnazione di avviso di
accertamento esecutivo, alla luce dell’introduzione dell’istituto del reclamo
obbligatorio.
I
termini per l’impugnazione dell’avviso di accertamento esecutivo restano sempre
60 giorni dalla notifica dell’atto; per poter procedere alla presentazione del
ricorso sarà, tuttavia, necessaria la presentazione di un reclamo (con i
requisiti ex art. 17 bis), il quale allo scadere dei 90 giorni previsti dalla
procedura, produrrà gli effetti del ricorso (e così 30 giorni per la
costituzione in giudizio).
Mettiamo
il caso che il contribuente, prima ancora del ricorso, voglia tentare
un’adesione con l’ufficio, al 59° giorno dalla notifica dell’accertamento.
Pertanto, ai 59 giorni a seguito della ricezione dell’atto, se ne dovranno
aggiungere altri 90, previsti dall’adesione, che sospendono gli effetti e i
termini dell’accertamento.
Il
contribuente non raggiunge un accordo con l’ufficio e decide di proporre
ricorso – precisiamo che in questo caso ha soltanto un giorno utile per la
proposizione del reclamo (ovviamente dando per certa la sussistenza dei
requisiti per la proposizione dello stesso) – e, proponendo reclamo, tenta
ulteriormente di addivenire ad un accordo o all’annullamento dell’atto
notificatogli.
Aggiungeremo,
così, ulteriori 90 giorni, trascorsi i quali, il reclamo produrrà gli stessi
effetti del ricorso (costituzione nei 30 giorni successivi mediante deposito
del fascicolo).
A
questo punto, il contribuente, già alla presentazione del reclamo, avrà dovuto
adempiere al pagamento di una parte delle imposte – in quanto dopo i 60 giorni
dalla notifica l’atto diventa esecutivo – , come indicato nell’atto di accertamento
(ricordiamo a tal proposito che le sanzioni non possono essere chieste prima
della sentenza di primo grado); infatti, il 61° giorno dopo la notifica
dell’atto, le suddette somme vengono affidate all’agente della riscossione che,
tuttavia, non potrà – stante la normativa vigente – procedere ad esecuzione
forzata prima dei 180 giorni da quando riceve in carico il provvedimento (e
quindi avremo: 60 giorni per l’esecutività, 90 giorni per l’adesione, ulteriori
90 giorni per il reclamo, 30 giorni per l’affidamento, 180 giorni per l’inizio
dell’esecuzione).
Ricordiamo
che la sospensione di 180 giorni, prevista prima dell’inizio della riscossione,
opera ex lege, ovvero senza che sia
richiesto al contribuente alcun adempimento.
A tal
proposito, è possibile, ai sensi dell’art. 47 del D. Lgs 546/92, in pendenza di
ricorso, richiedere alla Commissione provinciale competente la sospensione
dell’esecuzione dell’atto, se da questo possa derivare un danno grave e
irreparabile; la sospensiva è richiesta con un’istanza contestuale o successiva
al ricorso, che interrompe gli effetti dell’atto fino alla pubblicazione della
sentenza di primo grado. La L. 106/2011, ha introdotto all’art. 47 del D. Lgs.
546/92 il comma 5 bis, il quale prevede che i giudici devono pronunciarsi
sull’istanza di sospensione entro 180 giorni dalla data di presentazione
dell’istanza.
Opportuno ricordare che la
sospensione agisce solo sull’esecuzione e non anche sulle misure cautelari.
Il
tutto si traduce in 450 giorni prima del primo atto esecutivo (il
pignoramento), con il pagamento di una parte delle imposte. Senza considerare
poi, il termine di sospensione feriale, con il quale i giorni diventerebbero
496 giorni, quindi oltre un anno e mezzo.
Fatta
salva, ovviamente, la possibilità per l’agente della riscossione, di procedere
alla richiesta di misure cautelari, al ricorrere delle situazioni di pericolo
per la riscossione.
Infatti,
le misure cautelari costituiscono
una possibilità, per l'Amministrazione, di tutelare il credito erariale in
presenza di una situazione di pericolo per la riscossione.
Tale
normativa è stata sottoposta a revisione a opera dell' art. 27, D.L. 29.11.2008, n. 185,
convertito dalla L.
28.1.2009, n. 2 e dell' art. 15, commi da 8-bis a 8-quater, D.L. 1° luglio 2009,
n. 78, convertito dalla L. 3.8. 2009, n. 102.
I più
recenti interventi interpretativi in materia, emanati dagli organismi di controllo,
rappresentano delle precise linee di condotta per gli addetti alle attività
ispettive e si rinvengono nella circolare dell'Agenzia delle Entrate 15.2.2010,
n. 4/E, oltre che nella circolare del Comando Generale della Guardia di Finanza
7.4.2010, n. prot. 010449610.
Le più recenti innovazioni normative in materia di
misure cautelari sono state apportate dall'art. 29, quinto comma, del D.L. 31.5.2010, n. 78, convertito dalla L. 30.7.2010, n. 122.
Il
carattere di novità della norma consiste nella modifica dell'art. 27, comma 7,
primo periodo, del D.L. n. 185/2008, per effetto della quale le misure
cautelari conservano, senza bisogno di alcuna formalità o annotazione, la loro
validità e il loro grado a favore dell'agente della riscossione che ha in
carico il ruolo, qualora siano adottate in base: al processo verbale di
constatazione, al provvedimento con il quale vengono accertati maggiori
tributi, all'atto di recupero per la riscossione di crediti indebitamente
utilizzati, al provvedimento di irrogazione della sanzione oppure
all'atto di contestazione.
A
seguito della modifica in commento, quindi, le misure cautelari conservano la
loro validità e il loro grado a favore dell'agente della riscossione, senza
bisogno di alcuna formalità o annotazione, ove adottate in base al pvc, al
provvedimento con il quale vengono accertati maggiori tributi, al provvedimento
di irrogazione della sanzione o all'atto di contestazione; non più, dunque, in relazione agli importi
iscritti a ruolo in base al provvedimento di accertamento di maggiori tributi
(come prevedeva la precedente formulazione del settimo comma).
Le
nuove regole possono essere coordinate con quanto previsto in materia di accertamento esecutivo (in presenza di pericolo per la riscossione, gli importi
possono essere riscossi coattivamente senza rispettare il limite generale di 60
giorni).
È
stata altresì disposta la sospensione dell'esecuzione forzata conseguente agli accertamenti esecutivi per 180 giorni decorrenti dall'affidamento in carico
agli agenti della riscossione; tale sospensione non si applica con riguardo
alle azioni cautelari e conservative, nonché ad ogni altra azione prevista
dalle norme ordinarie a tutela del creditore.
La
sospensione non opera, inoltre, se gli agenti della riscossione vengono a
conoscenza di elementi idonei a dimostrare il fondato pericolo di pregiudicare
la riscossione.
Stando
al respiro europeo delle liti pendenti con il Fisco, l’istituto del reclamo,
unitamente agli strumenti consensuali già utilizzati, consentirebbe una sorta
di allineamento con gli altri Paesi, mediante il quale la valutazione della
magistratura entrerebbe in campo solo per le controversie effettivamente
rilevanti.
Cosa
s’intende per “effettivamente rilevanti” non si riesce bene ancora a delineare,
dal momento che nell’ultimo anno, ci sono state una serie di modifiche
legislative e di incrementi di norme che, essendo ancora in via sperimentale,
attendono di produrre gli effetti sperati, ma ancora produttivi di un numero
elevato di dubbi.
Relativamente
alla comunicazione dell’agente della riscossione, emerge che la avviso verrà inviato
al contribuente nel momento in cui l’agente della riscossione avrà preso in
carico la somma risultante dall’avviso di accertamento, mediante una
raccomandata semplice, con pregi e difetti che questa comunicazione comporterà.
Infatti,
da un lato, con fini quasi “educativi” per i contribuenti, l’informativa sarà
il campanello d’allarme per il contribuente; nello specifico, perché la
comunicazione dell’agente della riscossione, lo avvertirà che nessun altro
avviso sarà portato alla sua conoscenza relativamente alle debenze tributarie a
suo carico.
Da un
altro lato, poiché la richiesta di rateazione può essere avanzata a seguito
dell’affidamento della riscossione, la comunicazione de quo, dovrebbe servire anche a segnalare, a chi interessato, che
da quel momento può attivarsi la richiesta di rateazione.
Infatti,
il recentissimo D.L. n. 16 del 02.03.2012, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale
n. 52 ed in vigore dalla stessa data, recante “Disposizioni urgenti in
materia di semplificazioni tributarie,
di efficientamento e
potenziamento delle procedure
di accertamento”, dispone
all’art. 8, comma 12:
“Al
decreto-legge 31 maggio
2010, n. 78,
convertito, con modificazioni,
dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, sono apportate le seguenti modificazioni: ) all'articolo 29,
comma 1:
1) alla lettera b), in fine, e' aggiunto il seguente periodo:
«L'agente
della riscossione, con
raccomandata semplice spedita
all'indirizzo presso il quale e' stato notificato l'atto
di cui alla lettera a), informa il debitore di aver preso in carico
le somme per la riscossione»;
2) alla lettera c), in fine, sono aggiunte le seguenti parole:
«e l'agente della riscossione non
invia l'informativa di
cui alla lettera b)»”.
Le
perplessità circa la norma sono notevoli, soprattutto relativamente al fatto
che non sono ancora palesi le conseguenze di un eventuale mancato od erroneo
invio dell’informativa; in quale modo vi potrà essere la tracciabilità di
questa nota della riscossione, entro quali termini e in quale misura si potrà
rilevare un eventuale vizio attinente alla raccomandata; tutti ancora
interrogativi senza risposta.
Senza contare poi, che nel secondo periodo, la
norma prevede che l’”atto di cortesia” dell’agente della riscossione, non venga
in essere qualora sia ravvisato un elemento di pericolo per la riscossione; in
soldoni, l’avviso sarà inviato al contribuente nel momento in cui le somme
saranno prese in suo carico, eccezion fatta per tutti i casi in cui sussiste il
pericolo per la riscossione, ove si procederà direttamente all’esecuzione.
8. La Circolare n. 9/E/2012 del 19 marzo 2012
Con la
diramazione della circolare 9/E dell’Agenzia delle Entrate del 19 marzo 2012,
vengono resi i profili operativi e i chiarimenti necessari per l’applicabilità
dell’istituto del reclamo e della mediazione come disciplinati dall’art. 17 bis
del D. Lgs. n. 546 del 31 dicembre 1992 – introdotto dal D.L. n. 98 del 06
luglio 2011, art. 39 commi 9, 10, 11, convertito con modificazioni dalla legge
n. 111 del 15 luglio 2011 – che comporta l’instaurazione di una fase
amministrativa pre-processuale obbligatoria con finalità deflative del
contenzioso.
Parte I. L’ambito di applicazione del
nuovo istituto.
Dopo
una lunga attesa, giunge la Circolare 9/E/2012, che già in premessa non
tradisce le aspettative: i propositi dell’Ufficio sono quelli tanto chiacchierati
di “economicità processuale”, “dialogo tra contribuenti e Ufficio”, sviluppare
la tax compliance.
Ebbene
l’Ufficio afferma (pag. 8) che, “il
procedimento di mediazione si svolge su un piano di sostanziale parità tra contribuente
ed Ufficio”, ed ancora, a pag. 9, che “ la
mediazione tributaria è istituto diverso dalla mediazione disciplinata dal D.
L. n. 28 del 4 marzo 2010”.
I
criteri ispiratori dell’ingresso dell’istituto sono: la tipologia dell’atto impugnato, la parte resistente nell’eventuale
giudizio e il valore della controversia.
Dando
per recepito quanto esposto relativamente ai requisiti di applicabilità
dell’istituto in esame, cerchiamo di dare voce alla “modalità operativa”
indicata dalla circolare.
E
così, oggetto di mediazione saranno:
-
Avviso di accertamento;
-
Avviso di liquidazione;
-
Provvedimento di irrogazione delle sanzioni;
-
Ruolo;
-
Rifiuto espresso o tacito della restituzione di
tributi, sanzioni pecuniarie e interessi o altri accessori non dovuti;
-
Diniego o revoca di agevolazioni o rigetto di
domande di definizione agevolata di rapporti tributari.
-
Ogni altro atto emesso dall’agenzia delle
Entrate, per il quale la legge preveda l’autonoma impugnabilità innanzi alle
commissioni tributarie.
Per
tutti questi atti (per un importo non superiore ad € 20.000,00 esenti da
sanzioni e interessi), notificati a partire dalla data del 02 aprile 2012, il
contribuente che volesse impugnare gli stessi, sarà tenuto alla presentazione
del reclamo ai sensi dell’art. 17 bis.
Il
reclamo dovrà contenere le motivazioni di fatto e di diritto – che devono
coincidere in un momento eventuale e successivo, con il contenuto del ricorso –
in base ai quali si richiede l’annullamento totale o parziale dell’atto;
contestualmente e facoltativamente, il contribuente può formulare una proposta
di mediazione, comprensiva della rideterminazione delle imposte calcolate.
In
sintesi l’istanza dovrà contenere:
1.
La Direzione nei cui confronti è avviato il
procedimento amministrativo in esame, cui spetta la legittimazione in giudizio
(ex art. 10 D. Lgs. 546/92);
2.
I dati relativi al contribuente, al suo legale
rappresentante, la residenza o sede legale, il codice fiscale e l’eventuale
indirizzo PEC.
3.
I riferimenti dell’atto impugnato e l’oggetto;
4.
I motivi.
L’istanza
dovrà anche contenere il valore della causa – requisito di accesso all’istituto
del reclamo – ; la circolare specifica che nei casi in cui vi siano più atti da
impugnare, sarà possibile proporre un’unica istanza anche se in questo caso non
essendo applicabile la riunione ex art. 29 del D. Lgs 546/92, si instaureranno
separati procedimenti.
Anche
nel caso del reclamo sarà necessario, decorsi i novanta giorni dalla
presentazione dell’istanza o dal giorno successivo a quello del diniego,
applicare il contributo unificato, precisamente al momento del deposito del
reclamo nella segreteria della Commissione Tributaria: siamo adesso in fase
processuale.
L’istanza
di reclamo deve essere notificata alla Direzione provinciale o regionale
competente entro il termine perentorio di 60 giorni dalla notifica dell’atto
impugnabile, proprio come se fosse un ricorso.
Nel
caso in cui, invece, l’atto impugnato sia un rifiuto tacito a seguito di una
domanda di rimborso, l’atto andrà notificato allo scadere dei novanta giorni
dalla data di presentazione della domanda e sarà esperibile fino alla
prescrizione del diritto di restituzione.
Poiché
la presentazione dell’istanza di reclamo non prevede in automatico la
sospensione degli effetti dell’atto impugnato, la circolare specifica che sarà
possibile inserire nell’istanza una richiesta di sospensione, rendendo
estensiva all’istituto la portata dell’art. 2- quater, comma 1 bis del D.L. n. 564 del 30 settembre 1994.
Parte
II. La trattazione dell’istanza di mediazione: caratteristiche e problematiche.
1.
La
trattazione dell’istanza.
A seguito della presentazione
dell’istanza di reclamo, l’Ufficio procede alla disamina della stessa, prendendo
come parametri di valutazione:
-
la sussistenza dei requisiti;
-
la fondatezza dei motivi di contestazione
dell’atto;
-
la valutazione della proposta eventualmente
formulata dal contribuente ed in caso di mancanza della stessa, l’ufficio
invita al contraddittorio il contribuente a seguito del quale può formulare una
rideterminazione della pretesa – art. 17 bis, comma 8 – ;
-
in caso di mancato raggiungimento dell’accordo,
l’Ufficio formula una proposta di mediazione recante l’intero importo delle
imposte accertate, al fine del solo beneficio di riduzione delle sanzioni
(nella misura del 40%);
-
in via subordinata, come extrema ratio, l’ufficio provvede al diniego.
In questa fase, la priorità
dell’Ufficio è quella di valutare eventuali profili di inammissibilità dell’istanza
(ad esempio tardiva presentazione, mancanza di sottoscrizione – che impedisce
di attribuire l’istanza al contribuente - , problematiche relative alla mancata
individuazione dell’oggetto che, ricordiamo, hanno come effetto diretto
l’inammissibilità del ricorso).
Purtuttavia, la circolare
precisa che anche nei casi di palese inammissibilità, l’istanza può comunque
essere trattata come una richiesta di autotutela.
Ricordiamo che, ai sensi del
comma 5 dell’art. 17 bis, l’istanza va presentata alla Direzione provinciale o
alla Direzione regionale che ha emanato l’atto, ma è valutata dall’ufficio
legale della Direzione provinciale o regionale; circostanza che, secondo
l’ufficio e secondo quanto previsto dalla norma, garantirebbe il necessario
requisito di distacco e di autonomia, oltre che di estraneità alle parti, ai
fini di una corretta e non soggettiva valutazione dell’istanza.
Appare tuttavia suggestiva e
romantica l’idea che affidare la trattazione di un reclamo avverso un atto
impositivo emesso – esclusivamente – dall’Agenzia delle Entrate, all’ufficio
legale – seppur in sede fisicamente autonoma e distaccata rispetto all’ufficio
che ha emesso l’atto, ma sempre facente parte dell’Agenzia delle Entrate - possa omaggiare di imparzialità l’esito della
procedura senza ledere i diritti di difesa dei contribuenti; soprattutto perché
non sarà concessa, dopo la proposizione del reclamo, nessuna forma di integrazione o modificazione
delle eccezioni difensive, che dovranno essere identiche a quelle del ricorso
successivamente proposto.
A questo punto l’ufficio ha la
possibilità di :
1.
Accogliere il reclamo, annullando integralmente
o parzialmente l’atto contestato, concludendo così la procedura;
2.
Respingere il reclamo o la proposta di
mediazione; formulare una proposta di mediazione con la rideterminazione delle
imposte ;
|
3.
Qualora non vi siano i presupposti per una
rideterminazione delle imposte, l’ufficio formula una proposta di mediazione
che conferma quanto accertato nell’atto impugnato, al fine di far conseguire al
contribuente il solo beneficio della riduzione del 40% delle sanzioni;
4.
L’ufficio può anche provvedere al solo diniego.
Il comma 9 dell’art. 17 bis,
ci illustra la decorrenza dei termini in base ai quali il reclamo diventa
effettivamente ricorso e che dipendono dal verificarsi delle condizioni
espresse nei casi suesposti.
Ciò che appare assolutamente
non conforme alla natura della norma e alle caratteristiche dell’istituto, è il
fatto che l’art. 17 bis, relativamente all’esplicitazione dell’ultimo caso, al
comma 9 parla di “ricevimento del diniego”.
Questa può considerarsi, con
assoluta certezza, una stortura di grave entità, soprattutto alla luce del
fatto che la decorrenza dei termini di costituzione in giudizio, nel caso di
diniego dell’ufficio, e quindi i 30 giorni previsti dalla procedura giudiziale
vera e propria, decorrono dalla notifica del diniego , che interrompe – se
avvenuta per iscritto – il termine di 90 giorni previsti dal reclamo.
Pertanto, risulta oltremodo
opportuno rispettare quanto stabilito in materia di notificazioni degli atti
dell’Ufficio, al fine di garantire il corretto svolgimento delle varie fasi
processuali e pre – processuali, stante anche il diritto di conoscibilità dei
contribuenti delle risultanze di istanze proposte in fasi così delicate di
avvicendamento al contenzioso.
Non è altrettanto corretto
come, nella circolare, l’ufficio espliciti questa forma di conoscibilità dei
propri atti attraverso la locuzione “comunicazione
del provvedimento con il quale l’ufficio respinge l’istanza prima del decorso
dei novanta giorni”.
Ricordiamo, inoltre, che
secondo quanto stabilito dal D. Lgs. n. 546/92 all’art. 16 comma 2 “ le notificazioni sono fatte secondo le norme
degli artt. 137 e ss. del codice di
procedura civile”.
Pertanto, al fine di concedere
una corretta difesa, ogni atto e provvedimento emesso dall’ufficio, che sia
l’agenzia delle entrate, o che sia l’ufficio legale – “distaccato e autonomo
rispetto agli uffici che emettono gli atti” –, dev’essere sempre notificato
secondo le norme stabilite dal codice di procedura civile in materia di notificazioni.
Con particolare riferimento al
diniego all’istanza, viene precisato che “nel
diniego vanno esposte in modo completo e dettagliato le ragioni di fatto e di
diritto, poste a fondamento della pretesa tributaria, avendo presente che, il
contenuto del diniego, in caso di successiva costituzione in giudizio da parte
del contribuente, varrà come atto di controdeduzioni. Il diniego non è
impugnabile, essendo tutelato il contribuente dalla facoltà di costituirsi in
giudizio”.
2.
I
presupposti per la mediazione e l’accordo.
I principi in base ai quali
l’ufficio valuta la mediazione sono :
-
incertezza
della questione controversa : in tutti quei casi in cui
sussiste una difformità tra le posizioni dell’ufficio e l’orientamento giurisprudenziale sarà opportuno stabilire
una mediazione sulla base delle proposte (ove presenti);
-
il
grado di sostenibilità della pretesa : la proponibilità dell’accordo
di mediazione è strettamente connesso – soprattutto relativamente alle
questioni di fatto – al prevedibile esito sfavorevole del giudizio di merito;
-
principio
di economicità dell’azione amministrativa : tale principio risponde
al fine deflativo dell’istituto che si propone di evitare – sia sotto un
profilo economico che strettamente processuale – l’instaurazione di giudizi.
La circolare specifica che “ in armonia con la ratio del nuovo istituto,
la conclusione della mediazione, deve condurre, di norma, alla definizione del
rapporto”; questo significa che – come anche specificato dall’ufficio
– i casi di mediazione parziale saranno
“eccezionali e in presenza di specifiche
e motivate ragioni”.
Non si comprende l’intento di
tale chiusura, se effettivamente è
quello di evitare inutili contenziosi; si ritiene che, anche questa sia una
strategia pre-processuale, dal momento che, annullare parzialmente un atto,
potrebbe voler dire aver commesso un errore – seppur parziale – al momento
dell’emissione, quindi una prevista soccombenza in giudizio. Anche in questo
caso, quindi, viene tutelato l’interesse del contraente più forte, senza
minimamente valutare che, in presenza di un atto impositivo – e degli importi
richiesti a tassazione – il soggetto che voglia intraprendere la strada
dell’impugnazione, debba anche valutare l’economicità dell’operazione e le
possibilità economiche ex tunc.
In tutti i casi in cui risulta
possibile un accordo di mediazione, l’ufficio invita il contribuente al
contraddittorio, basando il confronto anche con riferimento ad eventuali altri
rimedi previamente esperiti – come l’adesione - , in particolare soffermandosi
sugli esiti e sulle risultanze dei precedenti tentativi di accordo, redigendone
apposito verbale sottoscritto dalla parte (o dal difensore) e “dal dirigente o dal funzionario incaricato
del contraddittorio”.
Anche qui, non si può omettere
di fare una considerazione, se non altro per espressa analogia con uno dei
problemi più antichi del mondo tributario: dire che il verbale è sottoscritto
dal dirigente o dal funzionario – incaricato del contraddittorio – non
chiarisce quale delle due figure possiede il titolo per valutare l’istanza di
reclamo, fino al punto da assumersi la responsabilità di un eventuale accordo.
Con quali caratteristiche
professionali e per mezzo di quali percorsi specifici, finalizzati al
deflazionamento del contenzioso, l’incaricato svolge le sue funzioni
conciliative?
In buona sostanza, visto che
la sottoscrizione dell’accordo di mediazione, prevede la rinuncia a
qualsivoglia forma di procedimento giudiziale, il contribuente quale garanzia
di competenza riceve dall’”ufficio legale”?
3.
Le
modalità di conclusione dell’accordo: il perfezionamento della mediazione.
La procedura di mediazione si
perfeziona attraverso il versamento dell’intero importo dovuto o, in
alternativa, con il pagamento della prima rata, entro 20 giorni dalla
conclusione della mediazione. In caso di avvenuta mediazione le sanzioni sono
applicate nella misura del 40% delle somme irrogabili, in rapporto
all’ammontare dei tributi risultanti dalla mediazione.
L’accordo si conclude con la
sottoscrizione da parte del contribuente e dell’Ufficio, di un atto contenente
:
a. la rideterminazione degli importi à tributo, interessi, sanzioni;
b. le modalità di versamento à ed
eventualmente le modalità di rateizzazione
Può avvenire che l’accordo si
perfezioni mediante proposta/accettazione formulata da una delle parti; in
questo caso, la decorrenza dei termini (20 giorni) per il versamento delle
somme decorre da:
-
quando la proposta è
dell’ufficio: dalla data di spedizione dell’atto da parte del contribuente;
-
se la proposta era contenuta
nell’istanza presentata dal contribuente: dal ricevimento dell’atto
dell’ufficio.
Una volta conclusa con la sottoscrizione, la mediazione si
perfeziona con il pagamento delle somme dovute.
Come si può notare, anche in
questo caso, oltre che ad un palese vantaggio per l’ufficio, non può parlarsi
di “ricevimento dell’atto”, in quanto
l’istituto prevede, in caso di mancato pagamento – anche di una sola delle 8
rate previste (nei casi di pagamento rateale), la decadenza dal beneficio della
rateazione e la contestuale iscrizione a ruolo dell’intero importo residuo e di
una sanzione pari al 60% delle somme ancora dovute.
Pertanto, sarà opportuno
notificare ogni atto da parte dell’agenzia delle entrate, onde evitare
l’instaurarsi di paralleli giudizi che investiranno, oltre che la competenza
tributaria, anche la responsabilità civile e la legittimità costituzionale.
L’accordo di mediazione si
perfeziona con il versamento dell’intero importo dovuto, ovvero della prima
rata – nei casi di pagamento rateale, che, in applicazione dell’art. 48 del D.
Lgs. 546/92 può avvenire “in un massimo
di otto rate trimestrali di pari importo”.
Il pagamento può essere
effettuato anche tramite compensazione
(ai sensi dell’art. 17 del D. Lgs. n. 241 del 9 luglio 1997) o mediante
scomputo di quanto già eventualmente versato.
Risulta
così importante rilevare che:
1. a
seguito del perfezionamento della mediazione, il rapporto giuridico sottostante
si intende definito e non ulteriormente contestabile;
2. in ipotesi di pagamento rateale,
l’atto originariamente impugnato perde efficacia a seguito del pagamento della
prima rata;
3.
l’accordo di mediazione – secondo quando riportato nella circolare 9/E –
costituisce titolo esecutivo e, pertanto, a fronte del mancato pagamento di una
rata l’ufficio procede alla riscossione delle somme dovute, a seguito della
quale, verrà emessa una cartella di pagamento impugnabile solo per vizi propri.
La circolare, infine,
specifica che “gli atti emessi in esito
al procedimento amministrativo di mediazione, che non sono impugnabili, possono
essere portati a conoscenza del contribuente nella forma di notificazione prevista
per gli atti tributari di cui all’art. 60 del D.P.R. n. 600 del 1973 – oppure –
utilizzando la PEC che ne assicura la conoscenza certa e in tempo reale”.
4.
La costituzione in giudizio e le spese
processuali.
L’art. 22 del D. Lgs. 546/92
stabilisce i termini di costituzione in giudizio del ricorrente che, con
riferimento all’istituto in esame, decorrono dal giorno successivo a quello:
v
dei 90 giorni dall’invio
dell’istanza senza che sia stato notificato un successivo accordo o diniego;
v
di notificazione del diniego;
v
di notificazione
dell’accoglimento parziale.
Ricordiamo che il termine di
costituzione in giudizio – essendo un termine processuale – è perentorio.
Secondo quanto chiarito dalla
circolare, la procedura di mediazione non soggiace al termine sospensivo
compreso tra il 1° agosto e il 15 settembre; diversamente dal termine di
costituzione in giudizio, che essendo un termine processuale segue la
disciplina dell’art. 22 del D. Lgs 546/92.
Ad
esempio:
Istanza di mediazione inviata
il 10 maggio 2012 e ricevuta dall’ufficio il 15 maggio 2012;
il termine di 90 giorni
decorre dal 15 maggio 2012 e – stante
l’inapplicabilità della sospensione feriale – scade il 7 agosto 2012;
il
termine di costituzione in giudizio decorre a partire dal 16 settembre 2012.
Dulcis
in fundo, il comma 10 dell’art. 17 bis prevede, sempre ai fini di
deflazionamento del contenzioso, una chiosa relativa alle spese processuali:
infatti, a titolo di rimborso delle spese del procedimento di mediazione, il
legislatore fissa un ristoro del 50% delle spese che spettano alla parte
soccombente, a seguito di sentenza sfavorevole.
Fuori dai casi di soccombenza
reciproca , i giudici possono “motivatamente” compensare le spese; motivi che
andranno ricercati nelle ragioni che hanno indotto l’ufficio a rigettare
l’istanza del contribuente.
In conclusione, stante i dubbi
e le perplessità relativi all’effettiva utilità dell’inserimento di un nuovo
istituto che risulta essere solo una dilatazione temporale, oltre che una
sottrazione di costituzionalità dei diritti dei contribuenti, chi scrive si
continua ad interrogare sul motivo per il quale, nella materia tributaria, si
valuti sempre l’introduzione di una novità, piuttosto che la revisione di un
processo che ad oggi non gode ancora dei benefici concessi nelle altre branche
del diritto.
9. I dubbi dell’istituto
Il
nuovo istituto del reclamo e della mediazione, pur apparendo, in prim’acchito,
di facile applicazione, presentano non poche perplessità e problematiche
interpretative, oltre che applicative.
Vediamo
in particolare, con riferimento ad alcune singole fattispecie, quali potrebbero
essere gli interrogativi, ad oggi ancora in attesa di risposta.
a.
il reclamo e il ruolo:
il ruolo, a differenza della cartella di
pagamento, è un atto emesso dall’Agenzia delle Entrate, impugnabile ai sensi
dell’art. 19 del D. Lgs 546/92 e, quindi, soggetto alla procedura di reclamo;
rileviamo che il ruolo, è basato su valutazioni di calcolo, fornite dalle
risultanze dei dati messi a disposizione dai contribuenti con i dati in
possesso dell’ufficio.
Se l’iscrizione a ruolo avviene mediante
un calcolo di somme effettivamente dovute, in quale modo ci sarà la possibilità
di ricalcolare le imposte?
Perdippiù, è ammissibile che, nelle more
del reclamo, l’Agenzia delle Entrate possa procedere all’iscrizione a ruolo?
Non sarebbe forse il caso di prevedere una legittimazione dell’iscrizione a
ruolo, solo a seguito del decorso dei 90 giorni previsto per l’esperimento
della procedura di mediazione?
Ricordiamo che, ad esempio, nei casi in
cui il ruolo si è formato ex art. 36 bis del D.P.R. 600/73 e 54 bis del D.P.R. 633/72, ovvero
rispettivamente in base alla liquidazione e al controllo formale, la
riscossione non è frazionata, ma avviene per intero – ex art. 14 del D.P.R.
602/73; in questo caso sarebbe opportuno prevedere la sospensione della
riscossione ex art. 39 del D.P.R 602/73.
b.
la rettifica della dichiarazione – il limite
quantitativo:
nel caso di rettifica delle
dichiarazioni, ed in particolare, nei casi in cui la rettifica riguardi una
riduzione delle perdite dichiarate dal contribuente e l’accertamento non sia
riferito a maggiori imposte ma ad una riduzione delle perdite, quale limite
quantitativo sarà valutato ai fini della proposizione dell’eventuale ricorso e,
quindi, all’utilizzo del reclamo – che prevede tassativamente il limite di €
20.000,00 come indice massimo quantitativo per l’attivazione dell’istituto?
Da una lettura della Circolare n. 48/E
del 2011 dell’Agenzia delle Entrate, il valore di riferimento ai fini
dell’applicabilità dell’istituto è costituito da “un’imposta virtuale”, che si
identificherebbe come “la maggiore imposta effettiva, relativa alla differenza
tra la perdita dichiarata e la minore perdita accertata”.
Anche in questo caso, parlare di
“imposta virtuale” non pone il contribuente nella posizione di poter esperire
ogni mezzo a tutela della pretesa impositiva, stante, in caso di applicabilità
del reclamo, la totale enunciazione dei motivi di impugnazione, già nella fase
della mediazione; a parer mio, ben si utilizzerà, in questi casi, solo
l’istituto dell’adesione.
c.
oggetto della domanda – “petitum” - :
la formulazione dell’oggetto della
domanda, nei casi di reclamo, fa scaturire come primo effetto, quello della non
proponibilità dell’impugnazione relativamente a ciò che non è stato
contestato in sede di reclamo. Ciò
significa che, se nel reclamo, si insiste esclusivamente per il parziale
annullamento dell’atto, nell’eventuale successiva fase giurisdizionale, non
potrà essere formulata una diversa domanda di annullamento.
Questo è, senz’altro, una lesione –
ripetutamente verificata nell’ambito dell’istituto – del diritto alla difesa
del contribuente.
d.
il reclamo avverso il silenzio-rifiuto
alle istanze di rimborso:
Come noto, il silenzio-rifiuto a fronte
delle istanze di rimborso non può essere compreso tra gli atti emessi dall’Agenzia
delle Entrate, in quanto un atto vero e proprio, materialmente non esiste; in
virtù del rinvio operato dall’art. 19 del D.lgs. 546/92, tali atti vengono
inseriti tra quelli impugnabili, al fine di salvare la ratio della norma che ha come unico fine quello di evitare
l’instaurarsi di un contenzioso; anche in questo caso, nonostante la norma
inserita nel D. Lgs. 546/92, preveda l’espressa indicazione degli atti avverso
i quali è possibile e obbligatorio esperire il reclamo prima e la mediazione
poi, qualificandoli come “atti emessi dall’Agenzia delle Entrate”, anche per
tali atti diventa obbligatorio l’istituto del reclamo.
Peraltro, viene precisato come la nuova
fattispecie trova applicazione per quelle controversie in relazione alle quali,
alla data del 1° aprile 2012, non siano decorsi 90 giorni dalla presentazione
dell’istanza di rimborso. Invece, laddove alla data del 31 marzo 2012 siano già
trascorsi i 90 giorni, il diniego non potrà formare oggetto di reclamo. Tale
differenziazione pone sicuramente in una posizione di vantaggio i contribuenti
che, più di recente, sono stati alle prese con la presentazione di una istanza
di rimborso. Infatti, in base al testo normativo di cui all’art. 17-bis
del D. Lgs. n. 546/1992, l’intera procedura di reclamo deve chiudersi in 90
giorni rispetto ad un iter contenzioso solitamente ben più
problematico in termini di tempistica. Questo, naturalmente, laddove in sede di
reclamo l’Ufficio deputato alla valutazione dello stesso convenga sulla
esistenza del presupposto per il rimborso.
e.
Il profilo di incostituzionalità del
reclamo obbligatorio.
L’art. 17 bis, al comma 2,
stabilisce che “ la presentazione del
reclamo è condizione di ammissibilità del ricorso. L’inammissibilità è
rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.”
Di recente emanazione, la
circolare 9/E dell’Agenzia delle Entrate del 16 marzo 2012 - esplicativa
dell’istituto - si propone l’intento di dare indicazioni operative e
chiarificatrici soprattutto relativamente alle condizioni di ammissibilità ed
ai presupposti in base ai quali sarà obbligatorio attivare l’istituto.
La circolare chiarisce subito
che “la previsione normativa della
possibilità, per l’Agenzia delle Entrate, di esaminare preventivamente le
doglianze che il contribuente intende proporre innanzi al Giudice tributario
risponde ad esigenze riconosciute come costituzionalmente rilevanti. In proposito
si ricorda che, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, il
legislatore può ritenere opportuno, nell’interesse dello stesso ricorrente, che
la fase giudiziaria sia preceduta da un esame della potenziale controversia in
sede amministrativa, oltre che allo scopo di realizzare la giustizia
nell’ambito della pubblica Amministrazione, anche per evitare lunghe e
dispendiose procedure giudiziarie, che potrebbero compromettere la funzionalità
del servizio.”(Corte Costituzionale, sentenze n. 93 del 26 luglio 1979 e n.
15 del 18 gennaio 1991).
Appare così, già dalle prime
righe, una linea difensiva dell’Ufficio che, consapevole della lesione del
diritto alla difesa in arrivo con l’applicazione del reclamo, tenta addirittura
di trovare un sostegno nella giurisprudenza di legittimità.
In realtà, già da una prima
lettura della sola norma, appare evidente che la circostanza relativa al
contenuto del reclamo – che ai fini della sua ammissibilità dev’essere identico
a quello del ricorso eventualmente proposto nella fase giudiziale successiva –
vìola palesemente il diritto alla difesa di ogni contribuente raggiunto da un
avviso di accertamento; non si comprende, infatti, quale possa essere questa “esigenza riconosciuta come
costituzionalmente rilevante” e soprattutto in quale modo si concretizza,
dal momento che la tesi difensiva presentata nel reclamo – e quindi nella fase
cosiddetta amministrativa – risulta conoscibile ed esposta già in una fase che
non prevede la valutazione della fattispecie in presenza di una figura terza e
imparziale - come il Giudice tributario – come prescrive la Costituzione
all’art. 111.
Inoltre, il richiamo alle
sentenze citate non è confacente con quanto espresso nella circolare, anzi, da
un’attenta lettura delle stesse si ricava che “la questione risulta fondata. Questa Corte ha bensì affermato
ripetutamente la legittimità in via di principio di forme di accesso alla
giurisdizione, condizionate al previo esperimento di rimedi di carattere
amministrativo. Essa è però giunta più volte, soprattutto in riferimento
all’art. 24 della Costituzione, a dichiarare l’illegittimità di tali
previsioni, quando esse comportino una compressione penetrante del diritto di
azione, ostacolandone o rendendone difficoltoso l’esercizio, in particolare comminando
la sanzione della decadenza. Ne deriva così la definitiva perdita del diritto.”(Corte
Costituzionale, sentenza n. 530 del 11 dicembre 1989 richiamata da n. 15/1991).
Parimenti, l’istituto in
esame, prevede, al citato comma 2, la sanzione dell’inammissibilità, che
ricordiamo preclude, in modo definitivo, qualsiasi tipo di azione a difesa dei
diritti del contribuente, dunque la perdita di ogni facoltà giudiziale.
La Corte Costituzionale, nella
sentenza n. 15/1991, tratta la violazione degli artt. 3, 24,113 della
Costituzione, relativamente ad un ricorso esperito contro le Poste, per il
quale il giudice di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale
dell’art. 20 del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale
“nella parte in cui preclude l’azione
giudiziaria contro l’amministrazione per il servizi postali, se prima non sia
stato presentato reclamo in via amministrativa e l’amministrazione non abbia
provveduto nel termine di sei mesi”.
In diritto, la Corte afferma
che “la questione è fondata. Anche se il
termine fosse ridotto in una misura più ragionevole, l’introduzione nell’art.
20 del codice postale di una disciplina analoga a quella prevista dall’art. 443
cod. proc. Civ. non troverebbe giustificazione nella ratio di favore per il
cittadino”.
Parallelamente, appare
opportuno evidenziare che, nessun istituto giurisdizionale attualmente in
vigore prevede una sanzione così grave ed invalidante a seguito del mancato
esperimento della fase amministrativa; le sentenze citate dalla circolare
mostrano, infatti, come sarebbe del tutto ingiustificato oltre che illegittimo
precludere la possibilità di difesa sic
et simpliciter, soprattutto in una fase così delicata come quella che
precede l’ instaurazione di un eventuale giudizio a fronte di un accertamento
ancora da valutare.
Tanto vero che, in materia di
diritto del lavoro, l’art. 443 c.p.c. prevede che “Se è normativamente prevista una procedura amministrativa di
conciliazione, essa deve essere esperita prima dell’introduzione del giudizio a
pena di improcedibilità di quest’ultimo. Il Giudice adito, in quest’ultimo
caso, rilevato l’omesso esperimento della fase procedimentale per la
composizione amministrativa, dichiara l’improcedibilità della domanda,
sospendendo il giudizio e fissando all’attore un termine di sessanta giorni per
la presentazione del ricorso amministrativo.”
La giurisprudenza della
Suprema Corte è univoca nell’affermare che la questione attinente alla
procedibilità della domanda ex art. 442 c.p.c. per mancata attivazione deprocedimento
amministrativo ex art. 443 c.p.c., è sottratta alla disponibilità delle parti,
essendo essa rimessa esclusivamente al potere-dovere del giudice del merito, da
esercitarsi, ai sensi del 2º comma dell’art. 443 citato, solo nella prima
udienza di discussione del giudizio di primo grado, e non in ogni stato e grado
del giudizio:
“Nelle controversie
in materia di previdenza e assistenza
obbligatorie, la questione di procedibilità della
domanda giudiziaria in relazione al preventivo
esaurimento del procedimento amministrativo è
sottratta alla disponibilità delle parti e
rimessa al potere-dovere del giudice del
merito, da esercitarsi ai sensi del 2º
comma dell’art. 443 c.p.c., solo nella
prima udienza di discussione del giudizio
di primo grado, con la conseguenza che
se nella prima udienza di discussione
il giudice abbia omesso la dichiarazione
di improcedibilità, sospendendo il giudizio e
fissando un termine perentorio per il
ricorso in sede amministrativa, prevale l’azione
giudiziaria, non essendo opponibili decadenze
di ordine processuale (Cass., sez. lav., 07-06-2003, n.
9150; conforme, Cass. 18.01.1991 n. 427).
La ratio di questa
speciale normativa può agevolmente individuarsi nella peculiarità delle materie
regolate – ricordiamo che siamo in presenza di diritti indisponibili – ,
rispetto alle quali è stata individuata una soluzione che, pur tenendo conto
dell’esigenza di non esporre gli enti erogatori delle prestazioni ad un inutile
quanto dispendioso contenzioso giudiziario ed ai conseguenti effetti negativi
sulla finanza pubblica, in situazioni suscettibili di risoluzione in sede
amministrativa, evita tuttavia di penalizzare eccessivamente i soggetti
istanti, titolari di interessi costituzionalmente protetti.
Emerge, dunque, un netto
contrasto tra la ratio della
circolare – ed i fini della stessa – e
quanto espressamente riportato nella giurisprudenza citata dall’Ufficio; il
dato comune è che comminare l’inammissibilità in caso di mancato reclamo
darebbe luogo ad una irragionevole discriminazione tra i diritti dei
contribuenti e le potestà dell’agente impositore.
Alla luce di quanto appena
espresso, ma soprattutto di quanto illustrato dalla circolare con le sentenze
citate, il profilo invalidante dell’inammissibilità del ricorso in assenza di
reclamo appare del tutto illegittimo e incostituzionale.
Ne deriva, una totale
incertezza della tutela giurisdizionale del contribuente, atteso che,allo
stesso verrebbe preclusa la facoltà di adire la competente autorità
giudiziaria, in ossequio ai principi sanciti dalla Costituzione.
f.
Il
reclamo come istanza di autotutela obbligatoria
Stando al tenore della norma –
e come specificato relativamente alla natura dell’istituto del reclamo, inteso
come un’istanza di autotutela obbligatoria – sembra doversi intendere che,
l’Agenzia, quando parla di annullamento totale o parziale, possa ridurre in
parte la propria pretesa, non solo limitatamente all’aspetto quantitativo, ma
anche in merito ai contenuti e alle motivazioni dell’atto.
Il dubbio, quindi, nasce
spontaneo: se, a seguito della riduzione della pretesa impositiva, il
contribuente decida comunque di instaurare un giudizio, si creerà –
inevitabilmente – un’incongruenza tra il contenuto del ricorso e il contenuto
dell’atto reclamato (parzialmente modificato). Sappiamo bene che il reclamo –
per espressa disposizione normativa -
dev’essere corrispondente al ricorso successivo; quindi in questi casi, come si
concilierà la norma con la fattispecie in esame?
Sarebbe forse opportuno, a
parere di chi scrive, puntualizzare che l’annullamento parziale dell’atto
preveda l’acquiescenza del contribuente relativamente alla parte non annullata;
oppure, diversamente, prevedere in questi casi, la possibilità di integrare i
motivi contenuti nell’atto.
g.
il
reclamo e la cartella di pagamento
Con il provvedimento del
direttore dell’Agenzia delle entrate (prot. n.2012/46586) datato 30 marzo 2012,
vengono introdotte importanti novità sui profili applicativi delle cartelle di
pagamento. Le motivazioni delle modifiche apportate ai fogli avvertenze sono
riconducibili alle disposizioni contenute nell’art. 17 bis del D.Lgs. n. 546/92
– introdotto dall’articolo 39, comma 9, del dl 98/2011 – relative al reclamo ed alla mediazione, in
base al quale ogni contribuente che
intenda proporre ricorso avverso il ruolo a seguito del quale è emessa
la cartella di pagamento notificata a decorrere dal 1° aprile 2012, per
le impugnazioni di valore non superiore a ventimila euro, è tenuto a presentare
preliminarmente reclamo alla Direzione provinciale o regionale che ha emesso il
ruolo.
Nel terremoto normativo che
assale la moltitudine di contribuenti e professionisti, vengono ancora
apportate importanti modifiche relativamente alle cartelle di pagamento e alle
indicazioni in esse esplicitate.
Dato per assodato che – con la circolare “esplicativa” n. 9/E/2012
dell’Agenzia delle Entrate – tra gli atti impugnabili e soggetti al reclamo
obbligatorio c’è anche il ruolo, dall’agenzia delle Entrate, il provvedimento
del 30 marzo 2012 del Direttore dell’Agenzia delle Entrate – prot. n.
2012/46586 – nelle “avvertenze, precisa che: “questa cartella di pagamento può essere oggetto di reclamo – mediazione
solo per vizi riguardanti il ruolo e non per contestazioni relative ai vizi
propri della cartella (ad esempio un errore di notifica)”.
Altresì importante risulta
evidenziare che, le modifiche apportate nella pagina delle “avvertenze” della
cartella di pagamento, risultano pressoché tardive, stante, ormai,
l’attivazione della procedura obbligatoria in vigore già da qualche giorno.
Importante ricordare che il
termine che indica la soggezione della procedura del reclamo è costituito dal
giorno in cui il contribuente riceve l’atto impugnabile; questo significa, che se l’agente della
riscossione ha emesso una cartella, ad esempio in data 15 marzo 2012, la stessa
avrà necessariamente dei vizi propri, in quanto la modifica è stata apportata
in data 30 marzo 2012, con il provvedimento citato.
La Corte di Cassazione a
sezioni Unite – n. 16412/2007 – ha consolidato il principio in base al quale:
"La correttezza del procedimento di
formazione della pretesa tributaria è assicurata mediante il rispetto di
una sequenza ordinata secondo una progressione di determinati atti, con le
relative notificazioni, destinati, con diversa e specifica funzione, a
farla emergere e a portarla nella sfera di conoscenza dei destinatari, allo
scopo, soprattutto, di rendere possibile per questi ultimi un efficace
esercizio del diritto di difesa.
Nella
predetta sequenza, l'omissione della notificazione di un atto presupposto
costituisce vizio procedurale che
comporta la nullità dell'atto consequenziale notificato e tale nullità può
essere fatta valere dal contribuente mediante la scelta o di impugnare, per
tale semplice vizio, l'atto consequenziale notificatogli - rimanendo
esposto all'eventuale successiva azione dell'amministrazione,
esercitabile soltanto se siano ancora aperti i termini per l'emanazione e la
notificazione dell'atto presupposto - o di impugnare cumulativamente
anche quest'ultimo (non notificato) per contestare radicalmente la
pretesa tributaria: con la conseguenza che spetta al giudice di merito -
la cui valutazione se congruamente motivata non sarà censurabile in sede
di legittimità - interpretare la domanda proposta dal contribuente al fine di
verificare se egli abbia inteso far valere la nullità dell'atto
consequenziale in base all'una o all'altra opzione.
L'azione
può essere svolta dal contribuente indifferentemente nei confronti
dell'ente creditore o del concessionario e senza che tra costoro si realizzi
una ipotesi dì litisconsorzio necessario, essendo rimessa alla sola
volontà del concessionario, evocato in giudizio, la facoltà di chiamare
in causa l'ente creditore".
Infatti, fino ad oggi le
innumerevoli fattispecie di cartelle notificate in assenza di atto prodromico
hanno prodotto un atteggiamento consolidato dei difensori, i quali, impugnavano
– con ricorso – la cartella per vizi propri e contestualmente – ma in via
subordinata – il merito della stessa.
10. Quadro sinottico delle sanzioni
Si allega al presente, il
quadro sinottico delle sanzioni applicabili relativamente ad ogni istituto
deflativo, attualmente in vigore con l’aggiunta dell’istituto del reclamo
obbligatorio che dovrà essere attivato con riferimento agli atti notificati a
partire dal 02 aprile 2012.
Come si evince dal
prospetto, ogni istituto deflativo del
contenzioso prevede una riduzione delle sanzioni contestuale alla sua
applicazione.
Appare opportuno
sottolineare che, la norma che regola ogni singolo strumento pre-processuale,
prevede espressamente tale riduzione, contrariamente a quanto si verifica con
l’istituto del reclamo.
È facile notare, al comma 8
dell’art. 17 bis, che “si applicano le
disposizioni dell’art. 48, in quanto compatibili”.
Questo significa che, non è
garantita la misura percentuale di riduzioni delle sanzioni, ma vi è
all’interno del dettato normativo, soltanto un rinvio, previo giudizio di
compatibilità delle disposizioni, il che non assicura nessuna certezza nella
sua applicabilità.
A ben vedere, l’incentivo è
subito tramutato in forte deterrente, se si considera, al comma successivo,
come, nei casi di soccombenza di una delle parti, la condanna alle spese è
maggiorata del 50% a titolo di rimborso delle spese di procedura del reclamo. È
prevista anche la famosa “compensazione” delle spese, previa però verifica da
parte del giudice dell’effettiva sussistenza dei motivi che hanno indotto la
parte a rifiutare, in ultima analisi, la proposta dell’Ufficio.
|
ISTITUTO
DEFLATIVO
|
NORMATIVA
|
%
RIDUZIONE
SANZIONI
|
NOTE
|
1
|
Autotutela
|
Art.. 68 D.P.R. n.. 287/1992, Art.
2-quater D.L. n. 564/1994 (conv. nella Legge n. 656/1994) e del D.M. n.
37/1997.
|
100%
|
Nel
caso di annullamento totale dell’atto vi sarà una riduzione del 100% delle
sanzioni; nel caso di annullamento parziale, la % di riduzione sarà
commisurata alla riduzione delle imposte definite in autotutela.
|
2
|
Adesione al pvc
|
Art. 5 bis D.
Lgs. n. 218/1997
|
1/6 del minimo edittale
|
In
base alle modifiche apportate dalla L. 220/2010, art. 1 comma 18, le sanzioni
applicabili agli atti emessi a partire dal 1 febbraio 2011 sono pari ad 1/6
del minimo; per gli atti emessi fino al 31.01.2011 la riduzione è pari ad 1/8
del minimo.
|
3
|
Adesione all’invito al contraddittorio
|
Art. 5, co 1-bis
D. Lgs. n. 218/1997
|
1/6 del minimo edittale
|
La
legge di stabilità n. 220/2010 ha modificato con l’art. 1 comma 18, gli
importi delle sanzioni che passano da 1/8 del minimo per gli atti emessi fino
al 31.01.2011, ad 1/6 del minimo edittale per gli atti emessi dal 1° febbraio
2011.
|
4
|
Adesione su istanza del contribuente
|
Art. 6 D. Lgs. n. 218/1997
|
1/3 del minimo edittale
|
In
base agli artt. 2 e 3 del D. Lgs. 218/97, come modificati dall’art. 1 comma
21 della L. 220/2010, le sanzioni passano da 1/4 del minimo per gli atti
emessi fino al 31.01.2011, ad 1/3 del
minimo per gli atti emessi a partire dal 1° febbraio 2011.
|
5
|
Acquiescenza ordinaria
|
Art. 15 D. Lgs. n. 218/1997
|
1/3
|
In
base a quanto previsto dalla norma, come modificata dall’art. 1 comma 18,
lett. c della L. n. 220/2010, la riduzione delle sanzioni, con riferimento
agli atti emessi dal 01.02.2011 passa da 1/4 dell’irrogato a 1/3 dell’irrogato.
|
6
|
Acquiescenza rinforzata
|
Art. 15, comma
2-bis D. Lgs. n. 218/1997
|
1/6
|
Al
fine di uniformare l’acquiescenza all’adesione ai pvc e all’adesione agli
inviti al contraddittorio, in sede di conversione del D.L. 158/2008 , il
legislatore ha introdotto l’acquiescenza rinforzata che prevede, qualora il
contribuente non abbia ricevuto né un pvc definibile ex art 5 bis del D.L.
218/97 né un invito al contraddittorio, una riduzione delle sanzioni pari ad
1/6 dell’irrogato per gli atti emessi a partire dal 01.02.2011; per gli atti
emessi fino al 31.01.2011 la riduzione è di 1/8.
|
7
|
Reclamo e
mediazione
|
Art. 17 bis D.
Lgs. n. 546/1992
|
40%
delle somme irrogabili in rapporto all’ammontare del tributo risultante dalla
proposta di mediazione; in ogni caso, non inferiore al 40% dei minimi
edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo
(segue
la disciplina della conciliazione)
|
Le
parole “del 40% e al 40%” sono state sostituite alle parole “di un
terzo e ad un terzo” dall’art. 1 comma 19, Legge n. 220 del
13.12.2010. Ai sensi del medesimo
comma 19; le modifiche di cui al presente comma hanno effetto a decorrere dal
1° febbraio 2011.
|
8
|
Conciliazione giudiziale
|
Art. 48 D. Lgs.
n. 546/ 1992
|
40%
delle somme irrogabili in rapporto all’ammontare del tributo risultante dalla
conciliazione; in ogni caso, non inferiore al 40% dei minimi edittali
previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo
|
Le
parole “del 40% e al 40%” sono state sostituite alle parole “di un
terzo e ad un terzo” dall’art. 1 comma 19, Legge n. 220 del
13.12.2010. Ai sensi del medesimo
comma 19; le modifiche di cui al presente comma hanno effetto a decorrere dal
1° febbraio 2011.
|
11. La Circolare n. 33/E del 3 agosto 2012 – i
chiarimenti delle Entrate
L’ultimo documento di prassi recante
alcuni chiarimenti in materia di mediazione tributaria, è la circolare n. 33/E dell’Agenzia delle Entrate, pubblicata il 03
agosto 2012.
Il documento, facendo seguito alla
precedente circolare n. 9/E del 19 marzo scorso, ha chiarito che si potrà
ricorrere al nuovo istituto della mediazione tributaria – disciplinato dall'art. 17-bis,
D.Lgs. n. 546/ 1992, introdotto dall'art. 39, comma 9, D.L. n. 98/2011 - anche in caso di omessi o tardivi versamenti che
risultano dalle dichiarazioni annuali dei redditi, dell'IVA e dell'IRAP.
La nuova disciplina, secondo quanto
specificato nella circolare, indica che la mediazione si applica anche ai provvedimenti
concernenti le sanzioni per omessi o tardivi versamenti e quelle irrogabili
agli intermediari per la trasmissione telematica delle dichiarazioni, se inferiori
al limite dei 20.000 euro, mentre rimangono escluse dal reclamo le sanzioni
accessorie per mancata emissione della ricevuta o dello scontrino fiscale,
perché il valore è indeterminabile. Inoltre, nell'ipotesi di autotutela
parziale che riduce il valore della lite sotto 20.000 euro, afferma
l'Agenzia, il contribuente dovrà presentare istanza di reclamo anche se il
valore originario dell'accertamento era superiore a tale importo.
Provvedimenti di irrogazione delle sanzioni.
In tema di provvedimenti che
concernono esclusivamente l’irrogazione delle sanzioni non superiori a 20.000
euro, il contribuente, prima di impugnare l'atto di irrogazione, deve
presentare l'istanza di mediazione
In questo caso, l'ufficio dovrà
verificare i presupposti per l'annullamento dell'atto in autotutela o per la
rideterminazione della sanzione se sia stata irrogata in misura superiore al
minimo edittale.
Nel caso di definizione dell'atto
in sede di mediazione, le sanzioni si applicano nella misura del 40%,
fermo restando che in ogni caso l'importo non potrà essere inferiore al 40% dei
minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun
tributo.
La mediazione tributaria si applica,
inoltre, ai provvedimenti di irrogazione di sanzioni per i quali è ammessa la definizione
mediante acquiescenza, con il beneficio della riduzione delle somme dovute
e ai provvedimenti di irrogazione delle sanzioni applicabili agli intermediari
per le violazioni relative alla trasmissione delle dichiarazioni di cui agli
articoli 7-bis e 39, D.Lgs. n. 241/1997, in quanto tali sanzioni, come
già chiarito in precedenza dall'Agenzia (circolare n. 52/E del 27 settembre
2007 e circolare n. 11/E del 19 febbraio 2008), hanno natura
amministrativo-tributaria.
Soltanto nel caso di sanzioni che
prevedono la chiusura o la sospensione della licenza di esercizio
per non aver emesso fatture o scontrini fiscali non è previsto l'obbligo di mediazione
tributaria, dal momento che l'importo da pagare è di "valore
indeterminabile".
Omessi o tardivi versamenti ex art.
36 bis DPR N. 600/73.
Nelle ipotesi in cui dal controllo
automatizzato emerga un mancato o tardivo pagamento dell'imposta, l'ufficio
recupera il debito operando la sanzione del 30% (art. 2, comma 1, D.Lgs. n.
462/ 1997 e art. 13, comma 1, D.Lgs. n. 471/ 1997). La sanzione viene ridotta
al 10% se il contribuente effettua il versamento entro 30 giorni dalla
comunicazione di irregolarità.
In caso di mancato pagamento
l'Ufficio procede all'iscrizione a ruolo, che può essere impugnata con
ricorso alla Commissione tributaria provinciale. In tale ipotesi, se il valore
della controversia non è superiore a 20.000 euro, il contribuente dovrà presentare
preliminarmente istanza di mediazione.
Mediazione tributaria e definizione
agevolata (art. 16, comma 3 e art. 17, comma 2 D. Lgs. 472/97.
In premessa, l’ufficio chiarisce che
la sanzione tributaria può essere irrogata tramite “atto di contestazione” ai
sensi dell’art. 16 D. Lgs 472/97, ovvero nel caso di sanzioni collegate al
tributo cui si riferiscono, “con atto contestuale all’avviso di accertamento o
di rettifica”.
La circolare n. 33/E del 2012 ha
analizzato l'ipotesi dell'"atto di contestazione", precisando che
l'autore della violazione può alternativamente, entro il termine per ricorrere:
1) definire la sanzione con il
pagamento nella misura ridotta a 1/3, ai sensi dell’art. 17, comma 2, D.Lgs. n.
472/1997;
2) presentare deduzioni difensive;
3) impugnare immediatamente l'atto
innanzi alla Commissione tributaria provinciale previa presentazione
dell'istanza di mediazione.
Inoltre, l'Agenzia ha precisato che,
così come nella definizione agevolata, anche nella mediazione tributaria lo
sconto non è applicabile agli omessi o tardivi versamenti quando "la
riduzione delle sanzioni sia più elevata di quanto consentito per effetto di
acquiescenza in una fase amministrativa antecedente a quella della
mediazione".
Cumulo giuridico.
La circolare precisa che in nessun
caso è ammessa l'applicazione di una riduzione diversa rispetto a quella al 40%
della sanzione confermata o rideterminata.
Nell'ipotesi di cumulo giuridico
(art. 12, D.Lgs. n. 472/1997) - che prevede l'applicazione della sanzione
relativa alla violazione più grave aumentata da 1/4 al doppio, senza però
superare la somma delle sanzioni previste per ogni singola trasgressione - nel
caso di accordo, va calcolata sulla sanzione calcolata in base alla regola del
cumulo definita dal cumulo.
Mediazione e autotutela parziale
Altra questione trattata dal
documento di prassi è quella relativa all'ipotesi di autotutela parziale.
Nel caso in cui - a seguito di autotutela parziale - un debito contestato di
oltre 20.000 euro scenda a un importo inferiore a tale limite, il contribuente
è tenuto alla mediazione per tentare di risolvere la controversia con l'ufficio
prima in via amministrativa. Se, invece, la riduzione in autotutela dell'importo
originario avviene dopo la notifica del ricorso, ma prima del deposito in
Commissione tributaria, la mediazione non può essere applicata.
Consolidato nazionale
Nelle ipotesi di accertamento nei
confronti di società consolidate, l'ammontare della somma contestata è quella
che risulta dall'atto unico originario, anche se la consolidante
presenti il modello IPEC per lo scomputo delle perdite successivamente alla
notifica di tale atto (art. 40-bis, D.P.R. n. 600/1973). Infatti, ha
affermato l'Agenzia, applicando i criteri della circolare n. 9/E del 2012,
sulla perdita scomputata dovrebbe essere calcolata la "imposta virtuale"
(cui andrebbe sommata l'eventuale imposta rideterminata a seguito del
ricalcolo) ottenendo esattamente l'importo accertato con l'atto unico
originario.
12. Conclusioni
Dopo aver analizzato
l’istituto del reclamo, che ricordiamo ha debuttato il 1° aprile 2012 e quindi,
relativamente a tutti gli atti notificati dal 2 aprile 2012, emergono notevoli
profili di criticità e di incertezza che non risolvono le problematiche attuali
relative alla moltitudine e complessità dei contenziosi, sia dalla parte del
contribuente, sia dalla parte dell’Amministrazione finanziaria.
L’intento legislativo è
sicuramente ispirato sì al tentativo di un bonario componimento delle
controversie in atto – seppur delimitato a determinati parametri, sia in
termini di soglie economiche, sia in termini di imposte – ma, appare evidente,
che nonostante il profilo positivo che si vuol dare al nuovo istituto, la gran
parte del “sentimento” ce la debbano mettere il contribuente da un lato, e
l’amministrazione dall’altra.
Mi riferisco, soprattutto
alla fase della mediazione, a quei principi, tanto rincorsi nel corso
dell’evoluzione legislativa tributaria, di collaborazione, buona fede,
correttezza e ragionevolezza.
Sicuramente esperire un
tentativo di “conciliazione” in via preliminare al ricorso introduttivo,
costituisce un aspetto positivo delle vicende giudiziali tributarie, ma forse,
prim’ancora dell’inserimento di nuove norme – che peraltro ripercorrono strade
recanti enormi successi negli ultimi anni, come ad esempio l’istituto
dell’adesione e gli altri strumenti deflativi – sarebbe opportuno procedere ad
una “rivisitazione” delle norme esistenti.
In altri termini, piuttosto
che inserire, prima della proposizione del ricorso, un istituto “bloccante” ai
fini di un dispendio di energie economiche e giudiziali, perché, ad esempio non
rivedere la fase antecedente all’emissione degli atti di accertamento?
Occorre notare, infatti, che
l’inasprimento e l’aumento degli accertamenti sicuramente risponde all’esigenza
della tanto esercitata “lotta all’evasione”, ma parimenti non è prevista una
altrettanto rinforzata e decisa tutela dei contribuenti, che ad oggi, già a
stento riescono a far valere i propri diritti mediante, ad esempio, le norme
presenti all’interno dello Statuto del Contribuente.
Proprio in base alle
finalità dell’art. 17 bis – inteso come strumento inibitore degli accessi al
contenzioso – sarebbe auspicabile trovare una via d’incontro relativamente alla
fase di riscossione che prende strada decorsi 60 giorni dalla notifica
dell’atto di accertamento.
Infatti, ricordiamo che,
decorso il termine entro cui è possibile presentare il reclamo, le pretese
erariali possono, in tutto o in parte, essere soddisfatte anche coattivamente,
oltre al fatto che ben potrebbero essere attivate le misure cautelari e
conservative.
In questo senso, sarebbe
opportuno inserire un intervento legislativo, volto quanto meno, ad inibire la
fase della riscossione in pendenza di reclamo ex art. 17 bis.
Inoltre, la norma, appena
nata, precisa che l’istituto che si occuperà della valutazione dei reclami, è
autonomo ed indipendente rispetto all’Ufficio che ha emesso l’atto di
accertamento.
Come può un ufficio – seppur
autonomo e indipendente – facente parte dello stesso gruppo impositore
(peraltro contraente più forte quanto a strumenti accertativi, collaborazioni
pubbliche, raccolta dati) valutare asetticamente e imparzialmente, una proposta
basata su un atto emesso, magari da un ex collega d’ufficio?? E come potrebbe,
lo stesso operatore, predisporre una proposta di mediazione, senza aver
preventivamente, come accade nel processo civile, fatto le opportune
valutazioni alla luce di una preparazione mirata a ricoprire il ruolo di
mediatore?
Ma soprattutto, chi si
occuperà personalmente di valutare l’opportunità di una definizione transattiva
pregiudiziale? Con quali competenze??
Non sarebbe forse arrivato
il momento di ristabilire i ruoli e le competenze all’interno
dell’Amministrazione finanziaria?? Magari anche rispettando i principi sanciti
dalla L. 241/90 in materia di trasparenza, oltre che i rilievi forniti dallo
Statuto del Contribuente, ormai divenuto esclusivamente una fonte inutilizzata
e neanche presa in considerazione.
La notizia relativa al
distacco degli uffici del contenzioso, rispetto agli uffici da cui promanano
gli atti di accertamento, non provoca alcun sollievo nei contribuenti; non v’è
traccia alcuna dell’imparzialità che dovrebbe regnare sovrana nella fase
giudiziale.
La circostanza relativa al
ridimensionamento delle sanzioni, in caso di reclamo – che seguono la
disciplina della conciliazione giudiziale ex art. 47 d.Lgs 546/92, in misura
pari al 40% - non garantisce la preferenza dell’istituto, rispetto, ad esempio,
all’istituto dell’adesione, che accoglie successi da una quindicina di anni.
Anzi, utilizzare il reclamo
e non l’adesione, significherebbe, in virtù dell’espresso rinvio all’art. 18
del D.Lgs 546/92 – contenuto nel comma 6 dell’art. 17 bis – esporre in via
anticipata, rispetto al momento del contraddittorio giudiziale, pregiudicando
qualsiasi strategia difensiva e ponendo l’Ufficio – già contraente più forte –
in una posizione di vantaggio rispetto al contenuto del ricorso e alle eccezioni
del contribuente.
L’istituto del reclamo,
pertanto, non risulta essere uno strumento deflativo, come piace catalogarlo
alla “parte di potere”, ma altresì, risulta una lungaggine processuale a puro
ed esclusivo vantaggio dell’Ufficio.
Appare, così, enormemente
sconcertante, come il legislatore si preoccupi di inserire dei nuovi istituti,
configuranti, in alcuni casi, delle fattispecie già proposte o similari,
piuttosto che preoccuparsi, invece, di stabilire – come peraltro la
Costituzione prescrive – un sistema giudiziario basato realmente
sull’imparzialità e sulla terzietà degli organi giudicanti.
Nonostante i tentativi degli
ultimi mesi, pare che non ci si voglia ancora rendere conto delle violazioni
persistenti nei confronti dei contribuenti; un esempio lampante è costituito da
tutta la parte istruttoria del processo tributario, che, nonostante l’espresso
rinvio formulato nell’incipit del D.
Lgs. 546/92, non gode ancora degli stessi diritti del processo civile.
Anche l’istituto della
mediazione ha radici civilistiche, ad oggi pare con ottimi risultati.
Ciò che ancora però non si
comprende, è come mai, in un sistema impositivo gestito da chi verifica la capacità contributiva dei
contribuenti, la capacità produttiva delle società, le differenze relative alle
compagini sociali, i tenori di vita e quindi monitorizza l’andamento economico
del Paese, non ci si ponga il problema delle competenze dei propri operatori,
l’utilizzo, ed in alcuni casi, la modifica o l’integrazione delle norme già
esistenti in materia giudiziale, prim’ancora di predisporre dei rimedi alle
situazioni di “oggettive” violazioni di norme.
Ebbene non dimenticare che,
anche il reclamo, come gli altri strumenti a disposizione dei contribuenti, è
stato creato in uno scenario che come presupposto ha un atto di accertamento
già notificato; questo rilievo, evidenzia una latente discrasia tra gli intenti
di deflazione del contenzioso – sbandierati in ogni provvedimento legislativo –
e l’effettivo utilizzo degli strumenti – ormai sempre gli stessi – a difesa dei
contribuenti.
Basterebbe che ci fosse –
effettivamente – un organo terzo ad esercitare la mediazione fiscale; ad
esempio non sarebbe affatto una cattiva idea, riattivare la figura del Garante
del Contribuente – già presente sulla scena tributaria – che, peraltro riceve
già nel panorama fiscale “un potere di iniziativa di ufficio eteronoma”, ad
esempio nell’autotutela – si è, invece, ultimamente vista depauperata di due
unità, a fronte di un risparmio relativo al compenso di due dei tre soggetti
che componevano il collegio.
Il Garante del Contribuente
che, a partire dal 1 gennaio 2012, è diventato organo monocratico, non è stato
incluso nella procedura di mediazione, nemmeno relativamente alla fase
introduttiva, relativa al rispetto delle forme e dei termini del reclamo.
Sembra del tutto illogico,
ma tant’è. Colui che si fa portatore sano dei diritti dei contribuenti, non
parteciperà alla fase dell’incontro di volontà, tra l’ufficio e le parti.
Lecce, 14 settembre 2012
Avv.
Maurizio Villani Avv.
Francesca Giorgia Romana Sannicandro
AVV.
MAURIZIO VILLANI
Avvocato Tributarista in Lecce
Patrocinante in Cassazione
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