SOLO IL DESTINATARIO DELL’ATTO IMPUGNATO PUO’ NOTIFICARE IL RICORSO (CASSAZIONE N. 5375 DEL 4 APRILE 2012)
SOLO IL DESTINATARIO DELL’ATTO IMPUGNATO PUO’ NOTIFICARE IL RICORSO (CASSAZIONE N. 5375 DEL 4 APRILE 2012)
CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA DEL 4 APRILE 2012, N. 5375
In fatto e in diritto
1. La ……. Banca s.p.a. ricorre nei confronti del Comune di ……. (che resiste con controricorso) per la cassazione della sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di cinque avvisi di liquidazione ICI relativi agli anni 1993/1997 in relazione ad immobile sito in ……. per il quale era stata accertata una base imponibile superiore a quella dichiarata, la C.T.R. Piemonte confermava la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso della società.
2. Preliminarmente occorre rilevare che la ricorrente ……. Banca s.p.a., proponendo eccezione di giudicato esterno, ha affermato che i cinque avvisi di liquidazione da essa impugnati in questa sede erano stati impugnati anche dalla destinataria dei medesimi, la ……. s.p.a. -della quale l’attuale ricorrente si dichiara cessionaria d’azienda – e il relativo processo si era concluso con sentenza passata in giudicato.
Le suddette informazioni hanno imposto a questo giudice un riscontro ex actis all’esito del quale è emerso che effettivamente destinataria dei cinque avvisi opposti era diversa società, il ……. s.p.a., trasformatosi (secondo la sentenza della C.T.R. di Torino, prodotta in atti, che ha deciso sulle impugnazioni dei suddetti avvisi da tale società effettuate), in ……. s.p.a., della quale, come già esposto, l’attuale ricorrente si dichiara cessionaria d’azienda.
Tanto premesso, occorre evidenziare che nel processo tributario possono proporre ricorso i soggetti passivi dell’imposizione tributaria e che il cessionario d’azienda non è soggetto passivo, bensì solo “responsabile di imposta”. Peraltro, secondo una interpretazione meramente letterale del terzo comma dell’art. 14 d.lgs. 546/1992 (a norma del quale “possono intervenire o essere chiamati in giudizio i soggetti che, insieme al ricorrente, sono destinatari dell’atto impugnato o parti del rapporto tributario controverso”) il responsabile di imposta non potrebbe, a rigore, neppure intervenire nel processo tributario, non essendo né destinatario dell’atto impugnato né parte del rapporto controverso, ed in effetti questa Corte ha inizialmente escluso l’ammissibilità nel processo tributario dell’intervento adesivo dipendente (v. cass. n. 24064 del 2006). Solo recentemente (v. cass. n. 255 del 2012) tale intervento è stato ritenuto ammissibile, affermando che una diversa interpretazione dell’art. 14 citato comporterebbe l’immotivata esclusione della possibilità di intervenire in giudizio per soggetti che, lungi dal far valere ragioni consistenti in utilità di mero fatto, sono (come nella specie) portatori di un interesse giuridicamente rilevante e qualificato, determinato dalla sussistenza di un rapporto giuridico sostanziale fra adiuvante e adiuvato e dalla necessità di impedire che nella propria sfera giuridica possano ripercuotersi le conseguenze dannose derivanti dagli effetti riflessi o indiretti del giudicato, laddove una interpretazione costituzionalmente orientata del suddetto articolo consentirebbe di ammettere nel processo tributario l’intervento di quei soggetti che, pur non destinatari diretti dell’atto impugnato, potrebbero essere chiamati successivamente ad adempiere in luogo di altri, ipotesi nelle quali il condebitore non è soggetto passivo di imposta ma è tuttavia considerato, dalla disciplina civile o fiscale, solidalmente responsabile per l’adempimento dell’obbligazione tributaria insieme con il contribuente, come nel caso dei soci di una società di persone – illimitatamente responsabili per le obbligazioni societarie, comprese quelle tributarie -, dei rappresentanti legali del soggetto passivo di imposta – talora ritenuti solidalmente responsabili con quest’ultimo -, oppure, appunto, del cessionario di azienda o di un ramo di essa.
In tutti questi casi non è configurabile una responsabilità solidale paritetica bensì solo una solidarietà dipendente (c.d. responsabilità di imposta) che si realizza quando la legge prevede la responsabilità solidale di un soggetto che, pur non avendo realizzato il fatto indice di capacità contributiva risulta collegato al fatto imponibile ovvero al contribuente sulla base di un rapporto al quale il fisco rimane estraneo. È evidente pertanto che con riguardo a tali soggetti non viene in considerazione il mero “effetto giuridico di fattispecie” dell’atto impugnato, posto che detto atto è potenzialmente destinato ad avere nei loro confronti effetti giuridici sostanziali.
Se pertanto solo con la recente giurisprudenza, e attraverso una interpretazione costituzionale dell’art. 14 d.lgs. 546/1992, si è ritenuto ammissibile l’intervento adesivo dipendente del responsabile di imposta nel processo instaurato dal destinatario dell’atto impugnato, deve in ogni caso escludersi che l’attuale ricorrente, in quanto cessionaria di azienda rispetto alla società destinataria degli avvisi di che trattasi, fosse legittimata ad impugnarli autonomamente.
Il difetto di legitimatio ad causam della ……. Banca s.p.a. comporta l’inammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio ed il rilievo di tale motivo di inammissibilità, omesso da parte del giudice di primo grado e d’appello, deve essere compiuto anche d’ufficio da questo giudice di legittimità, essendo la Corte dotata di poteri officiosi in tal senso in tutte le ipotesi in cui il processo non poteva essere iniziato o proseguito (cfr. Cass. n. 5272/1996; n. 6776/1995).
Tale rilievo non può ritenersi impedito dalla formazione di un giudicato implicito, posto che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, il giudicato implicito sulla questione pregiudiziale della legittimazione ad agire non può formarsi qualora la questione non sia stata sollevata dalle parti ed il giudice (con implicita statuizione positiva sulla stessa) si sia limitato a decidere nel merito, restando in tal caso la formazione del giudicato sulla pregiudiziale impedita dall’impugnativa del capo della sentenza relativamente al merito, con la conseguenza che, in tale ipotesi, non è precluso al giudice del gravame di rilevare d’ufficio il difetto della legittimazione ad agire e, qualora detto rilievo venga effettuato in sede di legittimità, ne discende la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, non rendendosi possibile pronunciare nel merito di un’impugnazione inammissibile (v. cass. n. 13695 del 2001 e n. 6169 del 2003).
Deve peraltro escludersi che possa incidere sulla fattispecie la recente giurisprudenza delle Sezioni Unite in materia di giudicato implicito sulla giurisdizione (v. tra le altre SU n. 24883 del 2008). Le stesse Sezioni Unite hanno infatti ben delimitato all’ambito della giurisdizione il relativo principio, chiarendo che il potere di controllo delle nullità (non sanabili o non sanate), esercitabile in sede di legittimità mediante proposizione della questione per la prima volta in tale sede, ovvero mediante il rilievo officioso da parte della Corte di cassazione, va ritenuto compatibile con il sistema delineato dall’art. 111 della Costituzione (in relazione al principio di ragionevole durata del processo ivi previsto), allorché si tratti di ipotesi concernenti la violazione del contraddittorio – in quanto tale ammissibilità consente di evitare che la vicenda si protragga oltre il giudicato, attraverso la successiva proposizione dell’aedo nullitatis o del rimedio impugnatorio straordinario ex art. 404 c.p.c. da parte del litisconsorte pretermesso – ovvero di ipotesi riconducibili a carenza assoluta di “potestas iudicandi” – come il difetto di legitimatio ad causam o dei presupposti dell’azione, la decadenza sostanziale dall’azione per il decorso di termini previsti dalla legge, la carenza di domanda amministrativa di prestazione previdenziale, od il divieto di frazionamento delle domande, in materia di previdenza ed assistenza sociale (per il quale la legge prevede la declaratoria di improcedibilità in ogni stato e grado del procedimento) -, atteso che in tutte tali ipotesi si prescinde da un vizio di individuazione del giudice, trattandosi non già di provvedimenti emanati da un giudice privo di competenza giurisdizionale, bensì di atti che nessun giudice avrebbe potuto pronunciare, in difetto dei presupposti o delle condizioni per il giudizio, dovendo invece escludersi la compatibilità con il principio costituzionale della durata ragionevole del processo in tutte quelle ipotesi in cui la nullità sia connessa al difetto di giurisdizione del giudice ordinario e sul punto si sia formato un giudicato implicito, per effetto della pronuncia sul merito in primo grado e della mancata impugnazione, al riguardo, dinanzi al giudice di appello (v. SU n. 26019 del 2008).
È inoltre appena il caso di evidenziare che anche il recente “self-restraint” della Corte in ordine all’ampiezza dei propri poteri officiosi in tema di nullità non ha mai posto in dubbio il rilievo officioso del difetto di legitimatio ad causam, avendo in particolare questa Corte affermato che la rilevabilità delle nullità in ogni stato e grado del processo – col limite del giudicato in caso di statuizione esplicita del giudice rimasta priva di impugnazione e, per il giudizio di cassazione, del rispetto del principio di autosufficienza del ricorso – resta ancorata al riconoscimento di un interesse pubblico che può investire la verifica della “potestas judicandi” – a cui vengono ricondotte, oltre alle ipotesi esplicitamente contemplate dalla legge, anche quelle comunque ascrivibili alla “potestas” in base a considerazioni di ordine sistematico, come il mancato rilievo del giudicato, l’improponibilità della domanda per carenza dei presupposti processuali, l’inammissibilità e improcedibilità dell’appello, la carenza di “legitimatio ad causam” ovvero l’accertamento della mancanza del rapporto processuale – nelle ipotesi della carenza di “legitimatio ad processum” o del difetto, non sanato, del contraddittorio -, categorie alle quali non è riconducibile l’omesso rilievo della nullità del ricorso ai sensi dell’art. 414, n. 4. c.p.c., che attiene all’interpretazione dell’atto introduttivo e del suo contenuto, compiuta, sia pure implicitamente, dal giudice di primo grado (v. cass. n. 12746 del 2008). Alla luce di tutto quanto sopra esposto, decidendo sul ricorso, va dichiarata l’inammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio e la sentenza impugnata (sulla quale soltanto può pronunciare questo giudice) va cassata senza rinvio a norma dell’ultima parte dell’art. 382 c.p.c., restando in tal modo travolta anche la sentenza di primo grado.
Considerato che il mancato rilievo della inammissibilità suddetta da parte dei giudici di merito e la mancata formulazione della relativa eccezione da parte dell’Agenzia testimoniano della non immediata evidenza della circostanza anche in considerazione del fatto che, ancorché non diretti al responsabile di imposta, gli atti impugnati sono pur sempre, come sopra rilevato, potenzialmente destinati ad avere nei suoi confronti effetti giuridici sostanziali, si ritiene di disporre la compensazione delle spese dell’intero processo.
PQM
Decidendo sul ricorso dichiara l’inammissibilità del ricorso introduttivo e cassa senza rinvio la sentenza impugnata. Compensa le spese dell’intero giudizio
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