Sentenza n. 3294 del 2 marzo 2012 (ud 15 febbraio 2012) - della Cassazione
Civile, Sez. V - Pres. CICALA Mario - Est. CICALA Mario
TRIBUTI LOCALI - Tassa rimozione rifiuti solidi
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CICALA Mario - rel. Presidente
Dott. IACOBELLIS Marcello - Consigliere
Dott. DI BLASI Antonino - Consigliere
Dott. VIRGILIO Biagio - Consigliere
Dott. BOTTA Raffaele - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
Ascit - Servizi Ambientali s.p.a., in persona del legale rapp.te pro
tempore, elett.te dom.to in Roma, alla piazza dell'Emporio 16/A, presso
Io studio dell'avv. BALDACCI GIANLUCA, dal quale è rapp.to e difeso, giusta
procura in atti;
- ricorrente -
contro
Oriente Shoes s.r.l., in persona del legale rapp.te pro tempore;
Per la cassazione della sentenza della CTR della Toscana n.
10/2010/05, depositata l'1/2/2010;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
15/2/2011 dal Presidente Dott. Mario Cicala;
Udito l'avv. Baldacci per il ricorrente;
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott.
BASILE, che ha concluso per il rigetto.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La controversia promossa da Oriente Shoes s.r.l contro l'Ascit
Servizi Ambientali s.p.a. è stata definita con la decisione in
epigrafe, recante il parziale accoglimento dell'appello proposto dalla
società contribuente contro la sentenza della CTP di Lucca n. 54/2/2008
che aveva respinto il ricorso avverso gli avvisi di accertamento
relativi a TIA, per l'annualità 2003.
Il ricorso si articola in tre motivi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo viene dedotta violazione e/o falsa
applicazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21, art. 9, commi 3 e 4, nonchè
violazione dell'art. 24 del regolamento Comune di Capannori approvato con
delibera di C.C. n. 26 del 13 aprile 2004, regolamento TIA, in relazione
all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè insufficiente,
contraddittoria motivazione in ordine un fatto controverso e
decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Il motivo si sviluppa in una complessa e ricostruzione del quadro
normativo che però non viene contraddetta nella sentenza impugnata che
così si esprime:
"Non risulta fondata la tesi, sostenuta dall'appellante,
dell'esenzione totale dall'applicazione della tariffa, sul
presupposto dello smaltimento in proprio dei rifiuti, nè la tesi
subordinata della esclusione dalla tassazione di alcune aree in quanto
pertinenze non idonee a produrre rifiuti. Si ritiene infatti che -
rilevato che il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, comma 3, assoggetta
alla tariffa qualsiasi locale o area scoperta, a condizione che non
costituiscano accessori o pertinenze dei locali medesimi - non può
sostenersi che i locali facenti parte del ciclo produttivo possano
ritenersi accessori o pertinenze, ovvero esentabili dal tributo per
effetto dello smaltimento in proprio dei rifiuti. In realtà la norma
prevede una quota fissa alla quale i locali devono essere assoggettati
ed una quota variabile correlata alla quantità dei rifiuti smaltiti, sulla
quale spetta una riduzione proporzionale alla quantità di rifiuti
assimilati che il contribuente dimostri di avere smaltito in proprio".
La contestazione sotto il profilo di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5,
riguarda invece il passo della sentenza in cui si afferma "mentre non spetta
l'esenzione, spetta invece al contribuente, la riduzione proporzionale
della quota variabile in proporzione ai rifiuti di cui è stato documentato
in sede contenziosa, l'avvenuto smaltimento in proprio, peraltro non
contestato da ASCIT sul piano sostanziale, ma solo con eccezioni di natura
formale".
Il passaggio contiene una duplice motivazione in fatto "la
documentazione in sede contenziosa dell'avvenuto smaltimento in
proprio", e la "mancata contestazione da parte di ASCIT. Questo
secondo profilo non è investito dal ricorso e dunque il motivo deve essere
rigettato.
2) Con il secondo motivo (con cui deduce: "Error in iudicando: per
violazione o falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art.
3, L. 13 maggio 1999, n. 133, art. 6, comma 13, e D.M. 24 ottobre
2000, n. 370, con riferimento al mancato assoggettamento ad iva della TIA,
in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la ricorrente assume che
la CTR avrebbe erroneamente escluso che la TIA dovuta dal contribuente sia
assoggettata ad Iva.
Giova a questo proposito ricordare che la natura tributaria della
T.I.A. è stata affermata dalla Corte Costituzionale con la sentenza della
Corte Cost. 238/2009 (confermata con l'ordinanza n. 64 /2010).
E da questo dato la sentenza 238 ha tratto l'affermazione secondo cui
"la.... inesistenza di un nesso diretto tra il servizio e l'entità del
prelievo.... porta ad escludere la sussistenza del rapporto
sinallagmatico posto alla base dell'assoggettamento ad IVA ai sensi del
D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 3 e 4, e caratterizzato dal pagamento
di un corrispettivo per la prestazione di servizi".
La natura tributaria della TIA è stata poi ribadita anche da questa Corte
a SS.UU. con le sentenze n. 14903/2010 e n. 25929/2011. Si tratta, del
resto, di giurisprudenza pacifica per cui si veda ad esempio la recente
sentenza della prima sezione civile n. 2320 del 17 febbraio 2012.
In questa situazione normativa e giurisprudenziale, è intervenuta "la
manovra di emergenza" contenuta nel D.L. n. 78 del 2010, convertito
in L. n. 122 del 2010, attraverso l'art. 14, comma 33, (patto di
stabilità interno ed altre disposizioni sugli enti territoriali)
secondo cui "le disposizioni di cui al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art.
238, si interpretano nel senso che la natura della tariffa ivi prevista non
è tributaria. Le controversie relative alla predetta tariffa, sorte
successivamente alla data di entrata in vigore del presente
decreto, rientrano nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria
ordinaria". Disposizione che appare piuttosto contorta e intimamente
contraddittoria: se la "tariffa" "non è tributaria" la giurisdizione
sembra non possa essere assegnata al giudice tributario neanche per le
controversie sorte anteriormente alla entrata in vigore del decreto 78.
E' possibile che attraverso la citata norma la Amministrazione, che ha
elaborato il provvedimento, intendesse sottoporre ad IVA le somme versate,
in passato, a titolo di TIA (così come si può ricavare dalla Circ. n.
3/DF dell'11 novembre 2010 Min. economia e finanze - Dip. Finanze;mentre la
tesi dell'assoggettamento della Tia ad Iva è, ad esempio, esplicitamente
enunciata nella Ris. n. 25/E del 5 febbraio 2003). Si deve però
costatare che, se questa era l'intenzione, l'intentio legislatoris non
si è tradotta in una voluntas legis, cioè uno contenuto normativo
adeguato.
La stessa circolare 3/DF prende atto della circostanza che il D.Lgs. n.
152 del 2006, art. 238, crea una "seconda Tia", destinata a sostituire
con il tempo la "prima Tia" nata dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art.
49, (nei medesimi termini è il parere della Corte dei Conti Sezione
Piemonte n. 65 del li novembre 2010). E dunque il disposto del D.L.
riguarda direttamente solo la TIA2 e può essere esteso alla TIA1 solo ove
si ritenga che ci si trovi di fronte ad una norma di carattere
sostanzialmente interpretativo.
Ma così non è, perchè la giurisprudenza della Corte Costituzionale e di
questa Corte era - come riferito - già al momento della entrata in vigore
del D.L. n. 78 del 2010, pacificamente orientata nel senso di ritenere la
natura tributaria e non di corrispettivo della TIA1. E dunque la
disposizione sulla Tia2 ha carattere innovativo, o - meglio - istituisce una
tariffa che nell'intenzione del legislatore dovrebbe essere ontologicamente
diversa rispetto alla "prima Tia".
La inapplicabilità del D.L. 78 alla "prima TIA" rende irrilevante ai fini
della decisione della controversia ogni questione relativa alla
interpretazione della nuova norma ed alla sua legittimità
costituzionale.
Si deve - invece - qui soltanto dar atto che la TIA di cui si discute ha
natura tributaria e quindi non è soggetta ad IVA, dal momento che l'Iva come
qualsiasi altra imposta deve colpire una qualche capacità contributiva. Ed
una capacità contributiva si manifesta quando un soggetto acquisisce
beni o servizi versando un corrispettivo, non quando paga un'imposta,
sia pure "mirata" o "di scopo" cioè destinata a finanziare un servizio
da cui trae beneficio il soggetto stesso. Per quanto attiene poi all'Iva,
il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, puntualizza che sono soggetta a
tale imposta solo le prestazioni di servizi "verso corrispettivo" e non
quelle finanziate mediante imposte.
Dunque solo ove sussista un "corrispettivo" sarà applicabile il n. 127
sexiesdecies della Tabella A parte terza allegata al D.P.R. n. 633 del
1972, e dovrà essere applicata l'Iva sulle "prestazioni di gestione,
stoccaggio e deposito temporaneo, di rifiuti urbani e di rifiuti speciali
nonchè sulle prestazioni di gestione di impianti di fognatura e depurazione.
Nè appare rilevante la tesi della ricorrente secondo cui la natura
tributaria di un'entrata non escluderebbe di per sè l'applicazione
dell'Iva (un cenno dubitativo in questo senso si può leggere nella
sentenza n. 5298 del 5 marzo 2009 della prima sezione civile della
Corte); per giungere risultato cui mira la ricorrente, risultato che si
porrebbe in contrasto con i principi che regolano la materia, sarebbe
infatti necessaria una esplicita disposizione legislativa (che
trasformerebbe l'IVA in una sorta di "soprattassa"); ma tale elemento
normativo non è reperibile nel D.L. n. 78 del 2010, nè in altre
disposizioni di legge.
Con il terzo motivo (con cui deduce: "Violazione e falsa applicazione del
D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8, e del D.Lgs. 18 dicembre 197, n.
472, art. 6, art. 39 regolamento Comune di Capannori approvato con
delibera di C.C. n. 26 del 13 aprile 2004, regolamento TIA; nonchè
insufficiente, contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto
controverso e decisivo per il giudizio in relazione all'art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 5), la Ascit s.p.a. lamenta che la CTR, nel ritenere non
dovute le penalità per omessa comunicazione di variazione, avrebbe
insufficientemente motivato in ordine alla individuazione degli
elementi sulla base dei quali rinvenire la condizione di obiettiva
incertezza.
Inammissibile è la censura di violazione di legge in assenza di
specifica indicazione della argomentazioni della CTR in contrasto con la
normativa indicata.
Inammissibile è altresì la censura in ordine alla motivazione
facendo la ricorrente riferimento a circostanze "le penalità sono state
irrogate per l'infedeltà della denuncia" contraddette dalla sentenza
impugnata - laddove si fa riferimento "ad un nuovo accertamento
derivato da una revisione d'ufficio, da parte di Ascit, dei criteri
applicativi della tariffa rispetto a quelli dalla medesima precedente
applicati in analogia ai criteri TARSU", nè la ricorrente Ascit ha
trascritto il contenuto dell'avviso di accertamento.
Il ricorso deve dunque essere rigettato, non vi è luogo a provvedere per
le spese.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2012.
Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2012
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