Profili di incostituzionalità del reclamo obbligatorio.
Come ormai noto, a partire dal
1° aprile 2012, al fine di poter instaurare un giudizio tributario, dovrà essere esperita, obbligatoriamente e preventivamente
al ricorso, una fase amministrativa attraverso la proposizione del reclamo obbligatorio previsto dall’art. 17 bis del D. Lgs. n. 546/92 (inserito
dall’art. 39, comma 9 del D.L. n. 98 del 06 luglio 2011, convertito con modificazioni
dalla legge n. 111 del 15 luglio 2011).
La norma, al comma 2, stabilisce che “ la presentazione del reclamo è condizione di
ammissibilità del ricorso. L’inammissibilità è rilevabile d’ufficio in ogni
stato e grado del giudizio.”
Di recente emanazione, la
circolare 9/E dell’Agenzia delle Entrate del 16 marzo 2012 - esplicativa
dell’istituto - si propone l’intento di dare indicazioni operative e
chiarificatrici soprattutto relativamente alle condizioni di ammissibilità ed
ai presupposti in base ai quali sarà obbligatorio attivare l’istituto.
La circolare chiarisce subito
che “la previsione normativa della
possibilità, per l’Agenzia delle Entrate, di esaminare preventivamente le
doglianze che il contribuente intende proporre innanzi al Giudice tributario
risponde ad esigenze riconosciute come costituzionalmente rilevanti. In
proposito si ricorda che, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale,
il legislatore può ritenere opportuno, nell’interesse dello stesso ricorrente,
che la fase giudiziaria sia preceduta da un esame della potenziale controversia
in sede amministrativa, oltre che allo scopo di realizzare la giustizia
nell’ambito della pubblica Amministrazione, anche per evitare lunghe e
dispendiose procedure giudiziarie, che potrebbero compromettere la funzionalità
del servizio.”(Corte Costituzionale, sentenze n. 93 del 26 luglio 1979 e n.
15 del 18 gennaio 1991).
Appare così, già dalle prime
righe, una linea difensiva dell’Ufficio che, consapevole della lesione del
diritto alla difesa in arrivo con l’applicazione del reclamo, tenta addirittura
di trovare un sostegno nella giurisprudenza di legittimità.
In realtà, già da una prima
lettura della sola norma, appare evidente che la circostanza relativa al
contenuto del reclamo – che ai fini della sua ammissibilità dev’essere identico
a quello del ricorso eventualmente proposto nella fase giudiziale successiva –
vìola palesemente il diritto alla difesa di ogni contribuente raggiunto da un
avviso di accertamento; non si comprende, infatti, quale possa essere questa “esigenza riconosciuta come
costituzionalmente rilevante” e soprattutto in quale modo si concretizza,
dal momento che la tesi difensiva presentata nel reclamo – e quindi nella fase
cosiddetta amministrativa – risulta conoscibile ed esposta già in una fase che
non prevede la valutazione della fattispecie in presenza di una figura terza e
imparziale - come il Giudice tributario – come prescrive la Costituzione
all’art. 111.
Inoltre, il richiamo alle
sentenze citate non è confacente con quanto espresso nella circolare, anzi, da
un’attenta lettura delle stesse si ricava che “la questione risulta fondata. Questa Corte ha bensì affermato
ripetutamente la legittimità in via di principio di forme di accesso alla
giurisdizione, condizionate al previo esperimento di rimedi di carattere
amministrativo. Essa è però giunta più volte, soprattutto in riferimento
all’art. 24 della Costituzione, a dichiarare l’illegittimità di tali
previsioni, quando esse comportino una compressione penetrante del diritto di
azione, ostacolandone o rendendone difficoltoso l’esercizio, in particolare
comminando la sanzione della decadenza. Ne deriva così la definitiva perdita
del diritto.”(Corte Costituzionale, sentenza n. 530 del 11 dicembre 1989
richiamata da n. 15/1991).
Parimenti, l’istituto in
esame, prevede, al citato comma 2, la sanzione dell’inammissibilità, che
ricordiamo preclude, in modo definitivo, qualsiasi tipo di azione a difesa dei
diritti del contribuente, dunque la perdita di ogni facoltà giudiziale.
La Corte Costituzionale, nella
sentenza n. 15/1991, tratta la violazione degli artt. 3, 24,113 della
Costituzione, relativamente ad un ricorso esperito contro le Poste, per il
quale il giudice di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale
dell’art. 20 del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale
“nella parte in cui preclude l’azione
giudiziaria contro l’amministrazione per il servizi postali, se prima non sia
stato presentato reclamo in via amministrativa e l’amministrazione non abbia
provveduto nel termine di sei mesi”.
In diritto, la Corte afferma
che “la questione è fondata. Anche se il
termine fosse ridotto in una misura più ragionevole, l’introduzione nell’art.
20 del codice postale di una disciplina analoga a quella prevista dall’art. 443
cod. proc. Civ. non troverebbe giustificazione nella ratio di favore per il
cittadino”.
Parallelamente, appare
opportuno evidenziare che, nessun istituto giurisdizionale attualmente in
vigore prevede una sanzione così grave ed invalidante a seguito del mancato
esperimento della fase amministrativa; le sentenze citate dalla circolare
mostrano, infatti, come sarebbe del tutto ingiustificato oltre che illegittimo
precludere la possibilità di difesa sic
et simpliciter, soprattutto in una fase così delicata come quella che
precede l’ instaurazione di un eventuale giudizio a fronte di un accertamento
ancora da valutare.
Tanto vero che, in materia di
diritto del lavoro, l’art. 443 c.p.c. prevede che “Se è normativamente prevista una procedura amministrativa di
conciliazione, essa deve essere esperita prima dell’introduzione del giudizio a
pena di improcedibilità di quest’ultimo. Il Giudice adito, in quest’ultimo
caso, rilevato l’omesso esperimento della fase procedimentale per la
composizione amministrativa, dichiara l’improcedibilità della domanda,
sospendendo il giudizio e fissando all’attore un termine di sessanta giorni per
la presentazione del ricorso amministrativo.”
La giurisprudenza della Suprema
Corte è univoca nell’affermare che la questione attinente alla procedibilità
della domanda ex art. 442 c.p.c. per mancata attivazione del procedimento
amministrativo ex art. 443 c.p.c., è sottratta alla disponibilità delle parti,
essendo essa rimessa esclusivamente al potere-dovere del giudice del merito, da
esercitarsi, ai sensi del 2º comma dell’art. 443 citato, solo nella prima
udienza di discussione del giudizio di primo grado, e non in ogni stato e grado
del giudizio:
“Nelle controversie
in materia di previdenza e assistenza
obbligatorie, la questione di procedibilità della
domanda giudiziaria in relazione al preventivo
esaurimento del procedimento amministrativo è
sottratta alla disponibilità delle parti e
rimessa al potere-dovere del giudice del
merito, da esercitarsi ai sensi del 2º
comma dell’art. 443 c.p.c., solo nella
prima udienza di discussione del giudizio
di primo grado, con la conseguenza che
se nella prima udienza di discussione
il giudice abbia omesso la dichiarazione
di improcedibilità, sospendendo il giudizio e
fissando un termine perentorio per il
ricorso in sede amministrativa, prevale l’azione
giudiziaria, non essendo opponibili decadenze
di ordine processuale (Cass., sez. lav., 07-06-2003, n.
9150; conforme, Cass. 18.01.1991 n. 427).
La ratio di questa
speciale normativa può agevolmente individuarsi nella peculiarità delle materie
regolate – ricordiamo che siamo in presenza di diritti indisponibili – , rispetto
alle quali è stata individuata una soluzione che, pur tenendo conto
dell’esigenza di non esporre gli enti erogatori delle prestazioni ad un inutile
quanto dispendioso contenzioso giudiziario ed ai conseguenti effetti negativi
sulla finanza pubblica, in situazioni suscettibili di risoluzione in sede
amministrativa, evita tuttavia di penalizzare eccessivamente i soggetti
istanti, titolari di interessi costituzionalmente protetti.
Emerge, dunque, un netto
contrasto tra la ratio della
circolare – ed i fini della stessa – e
quanto espressamente riportato nella giurisprudenza citata dall’Ufficio; il
dato comune è che comminare l’inammissibilità in caso di mancato reclamo
darebbe luogo ad una irragionevole discriminazione tra i diritti dei
contribuenti e le potestà dell’agente impositore.
Alla luce di quanto appena
espresso, ma soprattutto di quanto illustrato dalla circolare con le sentenze
citate, il profilo invalidante dell’inammissibilità del ricorso in assenza di
reclamo appare del tutto illegittimo e incostituzionale.
Ne deriva, una totale
incertezza della tutela giurisdizionale del contribuente, atteso che, allo
stesso verrebbe preclusa la facoltà di adire la competente autorità
giudiziaria, in ossequio ai principi sanciti dalla Costituzione.
Lecce, 22.03.2012
Avv. Maurizio Villani Avv.
Francesca Giorgia Romana Sannicandro
AVV.
MAURIZIO VILLANI
Avvocato Tributarista in Lecce
Patrocinante in Cassazione
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