SEQUESTRO CONSERVATIVO A PARTICOLARI CONDIZIONI.
Il sequestro conservativo dei beni del contribuente soggetto a verifica fiscale è concesso dal Giudice tributario agli uffici dell’Agenzia delle Entrate solo “a particolari condizioni”.
Ciò è quanto emerso da una recente sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Bari (sent. CTP di Bari n. 209/22/10 – sezione distaccata di Lecce, liberamente scaricabile dal sito www.studiolegalesances.it – sez. Documenti), la quale ha chiarito a quali condizioni gli uffici dell’Agenzia delle Entrate possono chiedere al Presidente della Commissione Tributaria l’adozione di misure cautelari nei confronti dei contribuenti sottoposti a verifica.
Al Giudice tributario, dunque, è richiesta l’attenta verifica dei presupposti volti a concedere la misura del sequestro conservativo – istituto previsto dall’art. 22 del Dlgs n.472/97 – ossia:
1) la presenza di violazioni tributarie di cui è provato il fondamento (fumus boni iuris);
2) il fondato timore degli uffici finanziari di perdere la garanzia del credito erariale (periculum in mora).
Tale pronuncia, dunque, ribadisce sostanzialmente la posizione della Suprema Corte, la quale ha recentemente ricordato che “nella logica della disposizione normativa di cui all’art. 22, comma 1, del Dlgs n.472/97, la possibilità di autorizzare il sequestro conservativo (richiede) l’esistenza del periculum in mora e del fumus di un credito fondato sulla normativa tributaria, sia a titolo di tributo che di sanzione” (sent. Cass. n.1838/2010).
Ed è proprio in linea con questi dettami che la Commissione Tributaria Regionale di Bari ha approfondito i predetti requisiti, chiarendo che il fumus boni iuris non si può ritenere sussistente in virtù della sola presenza di un processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza ma attraverso l’analisi dei rilievi effettuati durante la verifica fiscale.
Per quanto riguarda, poi, il cosiddetto periculum in mora, la Commissione Regionale ha stabilito che, ai fini di una valutazione, non è sufficiente appurare la sproporzione fra il patrimonio del contribuente e l’ammontare della pretesa creditoria dell’amministrazione.
Il giudice, infatti, deve appurare la sussistenza del fondato timore da parte dell’erario di perdere la garanzia del credito tributario e dunque valutare l’esistenza di comportamenti indicativi della volontà del contribuente di disperdere il proprio patrimonio.
Avv. Matteo Sances
Commenti
Posta un commento